ALESSANDRO TREBBI
Cronaca

Modena, in bici fino a Capo Nord. "Una maratona così ti cambia la vita"

L’avvocato Botti ha percorso 4mila chilometri in solitaria: "La tundra, i fiordi...un sogno"

L’avvocato Paolo Botti, nell’ultima tappa ha percorso 650 km non stop

Modena, 10 agosto 2018 - Si chiama ‘Cape North 4000’ e nella sua descrizione in inglese viene descritta come una ‘unsupported bicycle adventure’. Un viaggio in solitaria e a gestione autonoma, in compagnia delle due ruote e del paesaggio circostante, da Arco di Trento fino a Capo Nord, 4000 chilometri immersi nella natura e non solo, tra salite, boschi, pianure, depressioni e fiordi.

Uno dei protagonisti di questa corsa tutta particolare e sfiancante ha l’accento modenese e si chiama Paolo Botti, di professione avvocato con uno studio in via Giardini e una bicicletta nel garage sempre pronta per partire.

E arrivare, perché dopo la partenza da Arco di Trento il 28 luglio, Botti è stato uno dei migliori, arrivando a Nordkapp con quattro giorni d’anticipo sulla tabella di marcia, sesto complessivo dopo 12 giorni e 5 ore di traversata dal sud al nord Europa. In una gara in cui, comunque, la classifica non conta nulla.

Botti, come è nata questa sua passione per le grandi maratone in biciletta?

«Sono un ex ciclista amatore e da tre stagioni mi cimento sulle lunghissime distanze, l’ultra cycling. La più importante e lunga l’ho iniziata l’anno scorso dal Belgio ai Monti Meteora in Grecia ma mi sono dovuto ritirare in Macedonia dopo un incidente in cui mi sono rotto due costole. Dovevo ritentare, cambiando itinerario».

Ma il suo scopo non è solo sportivo, vero?

«La mia avventura è collegata a un intento benefico: ho pensato di attivare una campagna di fundraising a favore del centro ematologico del Policlinico di Modena e dell’AIL. L’obiettivo prefissato, molto ottimistico, era 30mila euro, ma intanto abbiamo ampiamente passato gli 8mila euro e sono molto orgoglioso. Perché? È una malattia che ha colpito molti miei amici, la vivo sulla mia pelle».

E non si fermerà qui, il binomio bici-beneficenza?

«L’anno prossimo ho un altro obiettivo: la Transamerica. Un progetto per i miei 50 anni con raccolta a favore dei malati di Alzheimer. Fare del bene fa bene, proprio come l’attività fisica».

Torniamo alla traversata europea. Quanto ha pedalato?

«Più di 360 km al giorno, attraversando undici paesi, dirigendomi verso est per poi passare in Finlandia, Svezia e infine Norvegia con quattro controlli: Praga, Varsavia, Tallinn e Rovaniemi».

Con che spirito si affronta un’avventura così?

«Io ho sempre gareggiato. Ma l’obiettivo principale qui era arrivare in fondo. Pur dormendo tutte le notti in albergo, riuscivo a fare almeno 350 km in 12-13 ore di pedalata con alcune soste».

La giornata tipo?

«Partenza tra le 4 e le 4:30 e fine tra le 18 e le 21 a seconda di dove trovavo da dormire».

Dove pedalavate?

«Il più possibile su ciclabili, che soprattutto all’estero sono meravigliose. Dove non c’erano andavamo su strade secondarie: ho visto luoghi e paesaggi semi-deserti e fantastici, con una grande educazione stradale».

E poi, dopo 12 giorni, Capo Nord…

«Sì, 650 km senza fermarmi e il sole mai sotto l’orizzonte per l’ultima tappa, un’emozione unica con persone accanto che mi vogliono bene come la mia compagna o mia sorella e il mio socio che mi permettono di viverla sostituendomi a casa».

Cosa le lascia questo percorso?

«Mi ha cambiato la vita: dai più importanza a cose che travalicano l’agonismo. Ero un discreto amatore sulla bicicletta, ma ho cambiato completamente la mia visione».

Il ricordo indelebile?

«Dalla tundra della Lapponia alla Norvegia, la potenza della natura: le renne libere, l’acqua, il sole basso sull’orizzonte e poi i fiordi. Fantastico».