
Una ‘Pasqua in corsia’: è quella che ha vissuto, insieme ad altri colleghi, la dottoressa Mara Bozzoli, da 15 anni medico internista del reparto di Medicina del Ramazzini, attualmente retto dal facente funzione Vincenzo Ferrari. Un giorno di festa che medici e pazienti hanno vissuto tra ricoveri, video chiamate alle famiglie, strette di mano. Inoltre alcuni ammalati hanno potuto fare la Comunione, grazie a due operatori sanitari che si sono resi disponibili a somministrare l’Eucarestia ai pazienti dei reparti Covid.
Com’è stata questa Pasqua? "Una Pasqua ‘particolare’ che ricorderò per tutta la vita. Abbiamo lavorato, ricoverando pazienti Covid positivi, provenienti dal Pronto soccorso o dalle altre aree di osservazione. Fare la ‘guardia’ in area Covid richiede un grande impegno sotto l’aspetto professionale ma anche umano. Io ho passato la malattia e sono tornata al servizio: siamo chiamati ad essere molto attenti ad evitare il contagio tra noi operatori stessi, medici e infermieri. Dalla ‘vestizione’ alla ‘svestizione’, dobbiamo prestare la massima cura".
Come si cerca di fare sentire la vicinanza ai pazienti?
"Quotidianamente manteniamo un contatto con i familiari al telefono e ‘riportiamo’ i messaggi che ci lasciano: una signora mi ha chiesto di fare capire al marito ricoverato che ci eravamo sentite e che lei gli è vicina, io gli ho stretto forte la mano".
Tablet, video chiamate: quanto sono importanti ora?
"Fondamentali. I pazienti si trovano in una situazione di isolamento sensoriale, spesso disorientati, e non è semplice fare capire loro la vicinanza. Grazie alla tecnologia si cerca di attenuare questa sensazione di abbandono. I più giovani riescono a fare le videochiamate in autonomia; per fortuna quasi nell’immediato siamo stati dotati di questi tablet per consentire di accorciare la distanza: gli infermieri, in determinati momenti, fanno i collegamenti con i familiari per farli sentire vicini".
Come è lavorare in questi giorni per lei?
"Mi pare di vivere in una ‘bolla’, in una dimensione sospesa, irreale, come dentro un film, e viene da chiederci ‘ma davvero sta accadendo tutto questo?’, come se ci osservassimo dall’esterno. E’ il nostro lavoro, siamo, purtroppo, abituati, alle patologie anche complicate e alla sofferenza dei pazienti. Questa è una complicazione nella complicazione".
Quanto tutto questo sta incidendo sulla sua missione di medico e di donna?
"Dal punto di vista professionale si tratta di un’esperienza enorme che comunque mi arricchisce. Sotto l’aspetto umano e familiare, mio marito e mio figlio mi sono vicini e sono partecipi e consapevoli dell’enorme carico emotivo che questa situazione comporta. Sento il loro supporto. Per certi aspetti, si riscopre la bellezza dello stare insieme anche se non si possono mai abbassare le difese: anche a casa l’affettività, la relazione più fisica fatta di abbracci, è ora come ‘sospesa’".
Maria Silvia Cabri