
Gli studenti della scuola Galilei di Maranello hanno intervistato Nadeesha Uyangoda. Nel suo libro biografico, con esempi concreti, affronta il tema delle discriminazioni.
’Immigrato, forestiero, scimmia…’. Queste parole ci vengono tatuate addosso, con un ago profondo e ci risuonano nelle orecchie, nei meandri dei nostri cuori e ci sotterrano facendoci rendere conto che non siamo nella così tanto illusa realtà propagandistica, diversa da quella che ci raccontano nei libri e ci vogliono imprimere con forza nella testa, proprio loro, gli inviati del mondo positivo e spensierato. Denunciamo accuse provocatorie, scagliate come pietre senza ritrosia e pudore, ma non ci rendiamo conto che siamo noi i primi a discriminare se valutiamo l’altro secondo il concetto di razza. Ci ostiniamo a ripetere gli ideali dell’uguaglianza, anche se siamo i primi ad aver bisogno di estremità e barriere per sentirci al sicuro nei nostri usi, costumi, tradizioni, nella ’nostra’ cultura.
Lo sport ci dà la possibilità di eliminare tutti questi margini: lì conta la mente, il corpo e la propria capacità di concentrazione, non importa da che paese vieni. Ma noi, come scriteriati, ci ostiniamo a dover credere per forza nell’etnocentrismo, autoreferenziali e patriottici verso le nostre caratteristiche. Persistiamo nel dover dividere, dividere e dividere, anche se dovremmo unire, mettere insieme, addizionare. Noi ragazzi, obbligati in un mondo infinitamente ed estremamente complesso, crediamo di sapere quello che ci circonda, ma ogni volta che voltiamo l’angolo ci viene svelata una nuova verità.
Ci frullano nella mente domande semplici e banali, ma soprattutto grandi misteri a cui neanche le dirette vittime possono dare una risposta. Riflettendo sui nostri dubbi, l’1 febbraio scorso, al Temple Theatre di Sassuolo, abbiamo incontrato Nadeesha Uyangoda, una giovane donna di colore, di origini srilankesi e cresciuta in Italia, e analizzato il suo libro: ’Corpi che contano’ (66thand2nd, 2024). Con esempi di discriminazioni e spiegazioni di significati, attraverso un testo biografico, lascia scoprire tutte quelle cicatrici, coperte per troppi anni. Grazie a parole ricercate e fatti vissuti in prima persona ci racconta l’influenza del corpo di persone di colore all’interno dello sport, sfruttando esempi toccanti e reali, come quello di Mike Maignan o contrapponendo Sara Gama a Paola Egonu. Introduce ulteriori argomenti delicati, come i pregiudizi degli ’sport da maschi e sport da femmine’, o il ruolo politico e gerarchico delle donne una volta aggredite: cioè nullo.
Il libro parla del rapporto tra sport e corpo, un legame complesso e sfaccettato. Come mai ha deciso di scrivere riguardo a questo tema? "Non l’ho scelto io, ma è stata una proposta del mio editore, che da tanti anni ha una collana dedicata allo sport. Dato che in passato mi sono occupata di corpi, hanno pensato di unire queste due tematiche. Ho accolto con entusiasmo la proposta perché ho fatto sport da atleta e mi sono occupata di sport a livello giornalistico".
Quanto è stato difficile mettersi a ’nudo’ e raccontare esperienze di discriminazioni? "È sempre difficile perché a volte la vittima ha un qualcosa di imbarazzante per gli altri, quindi non mi piaceva incarnare quel ruolo. Infatti alcuni hanno detto che nel mio primo libro ho raccontato una certa esperienza con freddezza per evitare di mettermi a nudo, perciò il libro cerca sempre di mediare e tradurre la mia esperienza con quella degli altri".
Ha un modello di riferimento sportivo o personale a cui si è ispirata? "Più che un modello sportivo mi sono ispirata a uno sport. Nel caso di questo libro, al cricket da un lato e alla corsa dall’altro. Il cricket è la prima forma di sport che ho sperimentato e la corsa è lo sport grazie al quale sono riuscita a scrivere questo libro".
Che consiglio darebbe a un ragazzo/a discriminato/a per il proprio corpo? "È una domanda difficile perché il rapporto con il proprio corpo è personale e allo stesso tempo è pubblico. Il modo con cui una persona guarda il proprio corpo non avviene soltanto attraverso il proprio sguardo, ma avviene soprattutto attraverso lo sguardo degli altri, quindi forse direi di provare a guardarsi con i propri occhi ed evitare di guardarsi con gli occhi degli altri".
Come vede il futuro? Le cose possono cambiare? Se sì, in meglio o in peggio? "È molto facile che le cose cambino in peggio perché se noi guardiamo alla politica e guardiamo anche a quello che avviene qua in Italia e nel resto del mondo ci rendiamo conto che il corpo di alcune persone è sempre in pericolo. Il corpo delle donne, il corpo delle persone con disabilità, il corpo delle persone transgender. Sono corpi sempre e costantemente in pericolo; basta pochissimo che i loro diritti vengano calpestati e cancellati, quindi per me si, è molto facile che le cose peggiorino".
Quando per la prima volta ha capito che lei, per il colore della sua pelle, era diversa da una persona nata in questa zona del mondo? "Io penso che, se anche fossi nata in questa zona del mondo, sarei comunque percepita in maniera diversa per il colore della mia pelle. L’ho capito nel rapporto con la politica. Anche se ci sono anche altri elementi che ti fanno sentire straniero, il momento in cui ti senti effettivamente straniero è quando scopri di non poter votare".
Viola Busani, Michele Costetti, Arianna Costi, Francesco Piepoli Classe 3^A, scuola Galilei di Maranello