Cronaca“Allarme ritiro sociale tra i giovani, fenomeno in crescita: 44 casi seguiti”

“Allarme ritiro sociale tra i giovani, fenomeno in crescita: 44 casi seguiti”

A Castelfranco due incontri del progetto Ri-So per cercare di arginare il trend. La referente per l’Area Centro, dottoressa Benedicenti: ‘Fondamentale cogliere i segnali: supportiamo famiglie, insegnanti e pediatri’

La dottoressa Rossella Benedicenti

La dottoressa Rossella Benedicenti

Castelfranco Emilia (Modena), 28 marzo 2023 – Un fenomeno che è in crescita tra i giovani e che desta un forte allarme. E’ il ‘ritiro sociale’, quella situazione di disagio e sofferenza sempre più diffusa tra gli adolescenti. Per fare fronte a questa situazione e cercare di arginarla, è stato elaborato un percorso formativo di approfondimento e prevenzione, fortemente voluto dall’Azienda USL di Modena che due anni fa ha lanciato il progetto RI-SO. In questo contesto, in particolare, nel Distretto di Castelfranco Emilia prende il via l’iniziativa ‘CollaborAZIONI: quando collaborare è la migliore strategia di intervento possibile’, un ciclo di due incontri rivolto a famiglie, insegnanti, operatori sanitari, sociali, scolastici e cittadini. Al centro dei due appuntamenti (che nei prossimi mesi verranno proposti nel resto della Provincia) ci sarà la sensibilizzazione verso il disagio adolescenziale, in particolare il fenomeno del ‘ritiro sociale’, che interessa tanti giovani ‘eremiti’ anche sul nostro territorio.

I due incontri - organizzati dall’Azienda Usl di Modena in collaborazione con l’Unione del Sorbara e il Centro per le Famiglie dell’Unione del Sorbara - si terranno il 29 marzo e il 5 aprile, dalle 18 alle 19.30, nella sede del Centro per le Famiglie di Castelfranco Emilia in via Nenni al parco Cà Ranuzza (per partecipare è necessario telefonare al numero 348/5294578 oppure scrivere alla mail segreteria@centrofamiglieunionedelsorbara.it). Sul punto interviene la psicologa Rossella Benedicenti, referente Area Centro del progetto Ri-So per l’Azienda USL di Modena. Dottoressa, in cosa consiste il ‘ritiro sociale’? “E’ una manifestazione di sofferenza sempre più diffusa tra gli adolescenti che tendono a ridurre le relazioni amicali e nel tempo anche la frequentazione dei contesti sociali e scolastici per arrivare, talvolta, a rinchiudersi nella loro stanza. I contatti con persone reali (genitori, amici, professori) sono spesso sostituiti con una frenetica attività sul web che include la dedizione a videogiochi, la visione di film e una serie di contatti virtuali. In alcuni casi il ritmo sonno-veglia viene invertito, per cui i ragazzi dormono di giorno e rimangono svegli la notte”. Che fascia di età è coinvolta? “I ragazzi e le ragazze che frequentano la scuola secondaria di primo e secondo grado, dunque dagli 11 ai 18/19 anni. Se l’Hikikomori giapponese è una condizione che colpisce soprattutto i maschi, il ‘nostro’ ritiro sociale riguarda entrambi i sessi. In generale sono giovani che faticano ad andare a scuola, e soffrono di grande e costante ansia, non sentendosi all’altezza delle situazioni, sia a fronte di un’interrogazione che rispetto ai compagni. E, appunto, si ‘ritirano’, si chiudono”. Quanti sono i ragazzi che ha in carico? “Attualmente, per l’area Centro (Modena e Castelfranco), ho in carico 44 situazioni ossia 44 famiglie che hanno accettato di usufruire del supporto di RI-SO in modo continuativo. A questi si devono aggiungere le consulenze brevi. In totale, a livello provinciale (comprese quindi area Nord e area Sud) sono circa 90 le situazioni seguite con continuità”. Che trend state rilevando? “Si tratta di un fenomeno giovane che è in preoccupante crescita. In particolare abbiamo notato un acuirsi dello stesso dal post pandemia. Per questa ragione, progetti come RI-SO e ogni altra attività di prevenzione e sensibilizzazione sono molto importanti, per conoscere il fenomeno e riuscire a intercettare il prima possibile i ragazzi che ne sono colpiti”. In cosa consiste il progetto? “Il termine ‘Ri-So’ deriva proprio dal ‘ritiro sociale’. E’ propriamente un progetto di prevenzione e di intercettazione precoce di questo disagio adolescenziale, che portiamo avanti in stretta collaborazione con una rete di referenti del territorio, a livello familiare, sanitario di primo livello, sociale, educativo, scolastico. In parallelo, garantiamo uno spazio di consulenza alle famiglie, per un supporto al ruolo genitoriale”. Quali possono essere i ‘campanelli di allarme’ di questo fenomeno? “Possono cambiare a seconda del contesto sociale, ma sicuramente il primo ambito da monitorare è il mondo della scuola, laddove i ragazzi faticano a garantire con continuità la loro presenza. Fanno molte assenze, in modo continuativo o ‘a singhiozzo’, oppure accumulano ritardi o uscite anticipate, accusando dolori alla pancia, ad esempio, o alla testa, dunque con sintomi anche psicosomatici che però non trovano un corrispettivo medico, oppure manifestano disequilibri con il cibo e il mangiare. Per questo nella rete di RI-SO ci sono anche i medici di medicina generale e i pediatri di base, per potere intercettare precocemente questi campanelli”. Il vostro intervento dunque è rivolto al mondo degli adulti? “I ragazzi sono chiusi, irraggiungibili. Per loro esistono già settori dedicati, come il Centro adolescenza e lo sportello dello psicologo a scuola. Noi miriamo a creare una rete che aiuti il giovane dando supporto alla famiglia e a chi interagisce con loro”. ‘CollaborAZIONI’: da dove deriva questo nome? “Fare rete, confrontarsi, condividere sono le parole chiavi del nostro percorso. Il laboratorio ‘CollaborAZIONI’ nasce dall'idea di costruire degli spazi di riflessione e co-costruzione di competenze e significati nuovi su tematiche ritenute particolarmente significative ed allo stesso tempo critiche per il target di riferimento del progetto RI-SO. Attraverso gli incontri distrettuali, il lavoro di rete con le scuole e i colloqui di sostegno ai genitori è emerso più volte il bisogno, per non dire necessità, di consolidare la relazione tra il mondo scuola ed il mondo famiglia, nell'idea di implementare la collaborazione che di per sé rappresenta essa stessa una forma di intervento. Immaginiamo di offrire un'occasione che sia stimolo per i partecipanti non solo in termini contenutistici, ma anche ideativi e propositivi attraverso la proposta di attivazioni, unendo quindi una parte più teorica a una parte più esperienziale. Tradurre un pensiero in azione per comprendere e gestire più efficacemente la complessità che sempre più spesso istituzioni e famiglie si trovano a vivere e dover gestire”.