Rosella Postorino a Buk Festival: "L’amore che riesce a vincere anche quando si subisce la Storia"

La scrittrice sarà sabato nella Sala del Leccio e presenterà il suo "Mi limitavo ad amare te" "Sono partita dai bambini orfani della Bosnia, che per essere salvati hanno abbandonato le loro famiglie".

Rosella Postorino a Buk Festival: "L’amore che riesce a vincere anche quando si subisce la Storia"

Rosella Postorino a Buk Festival: "L’amore che riesce a vincere anche quando si subisce la Storia"

Protagonista d’eccezione al BUK festiva sarà la scrittrice Rosella Postorino, che è la vincitrice del Premio Speciale BUK 2024 ‘per la capacità di intrecciare la Storia e le storie ovvero il contesto e le umane vicende, costruendo una narrazione insieme epica e intima’. L’autrice dialogherà con Francesco Zarzana sabato alle 21 nella Sala del Leccio, del suo libro ‘Mi limitavo ad amare te’ (Feltrinelli, finalista Premio Strega 2023), romanzo ispirato a una storia vera, l’avventura di una ragazza e due ragazzi cui il destino ha tolto tutto, ma che senza nemmeno saperlo finiranno per salvarsi l’un l’altro la vita. ‘Cosa facevo io mentre durava la Storia? Mi limitavo ad amare te’. Questi versi sono tratti dalla poesia ‘Cerco la strada per il mio nome’ del filosofo e poeta bosniaco Izet Sarajlic.

Cosa l’ha portata a scegliere queste parole per titolo del suo libro?

"Questi versi mi hanno commossa perché raccontano il rapporto tra la Storia e le persone comuni. Quando la Storia tradisce le nostre vite, quasi mai noi ci stagliamo sullo sfondo come eroi. La maggioranza non diventa protagonista della Storia, la subisce e basta. Si aggrappa alle persone che ama, cercando di amare e di essere amata".

Il romanzo si sviluppa sullo sfondo di uno degli eventi più tragici della Storia europea. Quando e come mai ha scelto di raccontare questa storia?

"Nel 2019 lessi un articolo che raccontava dei bambini di Sarajevo portati nel nostro Paese per esser salvati dalle bombe e mai più tornati in Bosnia. La maggioranza veniva dall’orfanotrofio, ma molti non erano orfani, nel senso che non avevano reciso ogni legame con i genitori, anzi li frequentavano con una certa regolarità. Nella confusione fu impossibile avvertire i genitori della partenza dei bambini, che vennero in Italia e restarono, in moltissimi casi, anche dopo la fine del conflitto, senza più sapere nulla dei familiari. Conosco un padre che ha ritrovato la figlia dopo 20 anni, un ragazzo che ha ritrovato un cugino dopo 25, genitori ancora in cerca dei propri figli. Ecco, a colpirmi è stata la contraddizione. I bambini si sono senza dubbio salvati, ma hanno pagato un prezzo carissimo: la perdita di tutto, persino dei genitori. È possibile fare il bene producendo involontariamente anche del male, e questo dipende dalla complessità delle relazioni umane".

‘L’inconveniente di essere nati’: quanto rileva il tema dell’abbandono?

"L’inconveniente di essere nati non riguarda solo chi è abbandonato, ma tutti. Nessuno ha scelto di nascere, per chiunque la nascita è un incidente. Nel romanzo l’abbandono ha una valenza metaforica legata allo strappo che tutti sperimentiamo nascendo, separandoci dal corpo di nostra madre, dove per la prima volta siamo stati vivi".

I veri testimoni del tempo sono le sue vittime: chi sono nel suo romanzo le vittime?

"Credo che qualunque condizione testimoni il proprio tempo, non solo quella delle vittime. È anzi la relazione fra le due condizioni, e l’ambivalenza di entrambe (tema che ricorre spesso nei miei romanzi), a renderne conto nella sua complessità. Non mi piace che i miei protagonisti vengano letti come vittime e basta: ridurli a questo infliggerebbe loro una vittimizzazione secondaria. La forza dei romanzi è proprio che restituiscono a ciascun personaggio un’umanità che spesso la cronaca sottrae, relegando all’anonimato della categoria ‘rifugiato’, ‘vittima’, ‘migrante’ ecc".

Maria Silvia Cabri