
di Simone Viani
Alle sette di mattina, quando manca un’ora alla fine del coprifuoco, sulle strade circolano poche macchine e molti autobus. Alla stazione, in piazza Dante, le però banchine sono vuote. Mancano quegli studenti e lavoratori che, scendendo dai treni, si riversavano sulle quattro fermate dei pullman all’esterno, ora che l’ultimo Dpcm impone la didattica a distanza per liceali e universitari e molte aziende adottano lo smart working.
Per arginare l’aumento dei contagi da Coronavirus, la capienza del trasporto pubblico è stata riportata al 50%. Ma più che i controlli, praticamente assenti, il distanziamento c’è per l’assenza di passeggeri. Sui regionali, dove era difficile trovare un posto a sedere e l’obbiettivo era conquistare uno spazio in piedi, le poltrone libere abbondano. Manca l’obbligo di disporsi a scacchiera. I segnali rossi sono spariti in luglio, conservati solo sulle Frecce, ma i pochi pendolari si dispongono alternati autonomamente. Le mascherine sono obbligatorie, i guanti sono rari e alle porte si trovano i dispenser con il gel. I soli piccoli assembramenti si creano alla discesa, retaggio degli scatti felini necessari per non rimanere intasati sulle scale dei sottopassaggi. La situazione non cambia in piazza Dante.
"L’utenza c’è ma è sicuramente calata con le restrizioni", confermano dalla biglietteria. L’edicola è vuota e non ci sono code agli sportelli e alle macchine automatiche. Sui marciapiedi i bollini indicano la posizione per essere a distanza di sicurezza. I pochi ragazzi, zaini in spalla, si allontano a piccoli gruppi, vicini ma indossando le protezioni. Salendo sulla linea sette, una delle più attive, il numero massimo che si raggiunge nel tragitto tra la stazione e il centro universitario è di undici persone. La maggior parte dei passeggeri scende al Policlinico, la penultima fermata; tanto che al capolinea l’autista Giovanni Celino è l’unico rimasto. Spiega che: "non vedo mai persone in piedi. Questa linea era usata dagli studenti di medicina, ma ora non ci sono". Il tempo di un breve richiamo a una donna che tiene la mascherina sotto il naso e la corsa riparte. In direzione opposta l’utenza non aumenta e poche sono le persone che salgono all’ospedale. Tra queste c’è una donna, che preferisce restare anonima, con la mano fasciata. "Sono andata -dice mostrando i bendaggi- per una visita. Questa mattina non ho trovato il pullman pieno e non vedo affollamento sull’autobus che uso per andare a lavoro".
La targhetta indica che la capienza è di 145 posti. Le norme permetterebbero l’accesso solo a 75 persone, cifra lontana dall’essere raggiunta. Mancano però gli studenti delle medie, che ancora possono frequentare in presenza. Sulla linea tre ci sono cinque ragazze sedute vicine. Ma solo i congiunti non lasciano sedili vuoti, come compagni di classe e una madre seduta vicino al figlio. Su alcuni mezzi si trovano i bollini, come sulla linea quattro, ma i passeggeri sono solo due. Complice il bel tempo, molti si spostano a piedi e in bicicletta. Alla scuola media Paoli, in viale Virginia Rester, non si verificano assembramenti perché la fermata è nella strada parallela. Monte Kosika, davanti all’Itis Jacopo Barozzi, è deserta. Anche all’autostazione, altro snodo della città, pochi attendono. Il problema nei collegamenti con la provincia è stato risolto affiancando alla flotta pubblica bus dei privati. Da Soliera e Carpi arrivano tre persone. Il 670 per Sassuolo vede salire una manciata di passeggeri. Ma la palma d’oro è vinta dalla navetta per l’aeroporto di Bologna, che parte con un solo viaggiatore. Più sicuro di così.