di Valentina Reggiani
E’ caduta l’aggravante del metodo mafioso ma ieri mattina l’ex viceprefetto Mario Ventura e gli altri dieci imputati nell’inchiesta sulla white list sono stati tutti rinviati a giudizio. Parliamo del processo che vede indagati a vario titolo funzionari dello Stato e imprenditori per aver cercato, con pressioni e minacce - secondo le accuse -, di far rientrare la Bianchini Costruzioni di San Felice nella white list (lista delle imprese autorizzate a lavorare nella ricostruzione post-sisma) da cui era stata esclusa nel 2013 per interdittiva antimafia. Si tratta di un processo costola dell’inchiesta ‘Aemilia’ sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta tra Modena, Reggio Emilia, Parma e Bologna e legato all’indagine condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Indagine che ha visto arrivare un avviso di garanzia anche sul tavolo dell’ex senatore Carlo Giovanardi, la cui posizione è al momento sospesa, in attesa di pronunciamento sull’utilizzo o meno delle intercettazioni. La novità emersa ieri in aula è appunto l’esclusione dell’aggravante del metodo mafioso; come richiesto dallo stesso pm. Accusa rivolta inizialmente alle presunte talpe che, qualche anno fa in Prefettura a Modena, avrebbero informato la ditta Bianchini sul rigetto delle proprie istanze per tornare in white list nell’ambito della ricostruzione post-sisma 2012, appunto. Gli 11 imputati sono accusati quindi, a vario titolo, di rivelazione di segreti d’ufficio e di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o dello Stato. Al centro della vicenda anche il discusso reintegro della ditta fratelli Baraldi - nel periodo di passaggio di consegne tra due prefetti - e la posizione della società di investigazione Safi, a cui le due aziende edili avrebbero versato soldi per tornare in white list.
I rinvii a giudizio sono stati disposti ieri dal gup di Bologna, Domenico Truppa, che ha accolto le richieste del pm Beatrice Ronchi e il processo inizierà davanti al collegiale, a Modena il prossimo 28 maggio. Affronteranno quindi il processo, oltre a Ventura Augusto Bianchini, la moglie Bruna Braga e il figlio Alessandro Bianchini, Giuseppe De Stavola all’epoca funzionario dell’Agenzia delle dogane di Campogalliano, un’avvocatessa di Fiorano, Giancarla Moscattini e ancora Daniele Lambertucci, dipendente della Prefettura e Ilaria Colzi, Alessandro Tufo, Giuliano Michelucci, Giulio Musto della società Safi. Attraverso la società Safi e accreditando la propria appartenenza ad ambiti riservati dello Stato, gli imputati avrebbero rivelato informazioni segrete, carpite dalla Prefettura con l’aiuto di Lambertucci, sull’iscrizione di diverse imprese nella white list. Come parti civili, infine, erano già state ammesse a luglio, in sede di udienza preliminare la Regione Emilia-Romagna, Libera, Cgil Emilia-Romagna, Camera del lavoro di Modena e Fillea-Cgil di Modena. Secondo gli inquirenti ci sarebb stata da parte degli imputati una strategia su due fronti: da un lato la rivelazione di informazioni segrete alla famiglia Bianchini; dall’altro presunte minacce e pressioni all’allora Prefetto di Modena, a colonnelli dell’Arma dei carabinieri e della Finanza e ad investigatori di Polizia. Tutto per ottenere un obiettivo: permettere alla Bianchini Costruzioni e alla Ios di Alessandro Bianchini di continuare a lavorare riammettendole nella white list da cui erano state escluse.
La vicenda avrebbe avuto inizio sette anni fa, a giugno 2013 quando la Bianchini Costruzioni, che stava lavorando in diversi cantieri della ricostruzione post sisma, venne bloccata dall’interdittiva antimafia perchè il gruppo interforze che vigilava sulla Bassa (composto da poliziotti, carabinieri e finanzieri) ritenne che nell’azienda sussistesse un reale pericolo di infiltrazioni mafiose.