MARIA SILVIA CABRI
Cronaca

Zoppello ’veste’ il suo Arlecchino: "Selvaggio e... muto per spavento"

Il regista porta un grande omaggio alla commedia dell’arte domani all’auditorium Ferrari di Maranello

Zoppello ’veste’ il suo Arlecchino: "Selvaggio e... muto per spavento"

Un grande omaggio alla commedia dell’arte e all’abilità tutta italiana del fare di necessità virtù: domani sera alle 21, arriva, sul palco dell’Auditorium Enzo Ferrari di Maranello, ‘Arlecchino muto per spavento’ della Compagnia Stivalaccio Teatro, nell’ambito della Stagione teatrale 2023/2024 curata da Ater Fondazione in collaborazione con l’amministrazione comunale. Ispirato al canovaccio Settecentesco ‘Arlequin muet par crainte’ di Luigi Riccoboni, riproposto per la prima volta in epoca moderna, lo spettacolo di prosa è diretto da Marco Zoppello, che ha curato il soggetto originale ed è anche interprete nei panni di Arlecchino.

Zoppello, regista e attore: com’è il suo Arlecchino?

"Bellissimo (ride, ndr). Scherzo, ovviamente, sarà il pubblico a giudicare. È una visione personale, che si ispira alla tradizione per sconfinare poi nella ricerca del ‘mio’ Arlecchino. Certo, è un personaggio diverso da quello del grande attore fiorentino Ferruccio Soleri, considerato il più grande Arlecchino di tutti i tempi e per oltre 60 anni ha recitato in tutto il mondo nel ruolo di ‘Arlecchino, servitore di due padroni’ di Carlo Goldoni, diretto dal regista Giorgio Strehler".

In cosa si differenza?

"Quello di Soleri è un Arlecchino più ‘aereo’. Io sono partito da un lavoro di scrittura, su una figura più ‘terrena’, terrigna, di campagna, selvaggia, più vicina ai contadini del drammaturgo Ruzzante. Anche il gioco del colore è importante: un Arlecchino con la barba rossa. C’è anche una rivisitazione dei costumi: ‘Pantalone’ nel mio spettacolo è una donna, ‘Stramonia’". Perché la barba rossa?

"Molto semplice: perché io sono nato rosso. È una personalizzazione che nasce dalla contingenza, come è tipico della Commedia dell’Arte".

‘Muto per spavento’: come nasce questo titolo?

"È quello del canovaccio, io ho aggiunto la parola ‘Arlecchino’. È uno dei canovacci più rappresentati nella Parigi dei primi del Settecento, qui riproposto per la prima volta in epoca moderna. Nel 1716, dopo circa quindici anni di esilio forzato i comici italiani tornano finalmente a essere protagonisti del teatro parigino e lo fanno con una compagnia di tutto rispetto. Luigi Riccoboni in arte Lelio, capocomico della troupe, si circonda dei migliori interpreti dello Stivale tra cui, per la prima volta in Francia, l’Arlecchino vicentino Tommaso Visentini. Ma il Visentini non parlava la lingua francese, deficit imperdonabile per il pubblico della capitale. Ed è qui che emerge il genio di Riccoboni nell’inventare un originale canovaccio dove il servo bergamasco diviene muto...per spavento. Un titolo che si intreccia con la storia vera della compagnia". Un omaggio alla commedia dell’arte?

"Un grandissimo, totale, atto d’amore alla commedia dell’arte, che viene molto apprezzato dal pubblico. Noi come compagnia abbiamo fatto del teatro popolare la nostra bandiera. Ho scoperto questo ‘brogliaccio’ e mi ha affascinato, perché rappresenta in pieno l’arte italiana: noi, rumorosi, disordinati, ma sempre capaci di fare di necessità virtù, come mostra l’astuzia del capo comico".