
Al via a Palazzo Ducale la mostra dell’estate sull’autore che lavorò prevalentemente nello Stato della Chiesa
Ora gli alibi per non conoscere Simone Cantarini (1612-1648) e la sua arte cadono definitivamente: da ieri a palazzo ducale una grande mostra, che conclude due anni di studi e ricerche, rende giustizia a un pittore poco noto al grande pubblico nonostante quattro esposizioni realizzate negli ultimi decenni, tutte fuori Urbino. La mostra della Galleria Nazionale, che sarà visibile fino al 12 ottobre, non è omnicomprensiva come fu quella per Barocci del 2024, ma si sofferma su alcuni temi e soggetti, tralasciando quasi del tutto le pale d’altare, ad esempio, preferendo i quadri “da palazzo“, commissionati dalla nobiltà dell’Italia del Seicento, per lo più dello Stato della Chiesa, opere che comunque rendono appieno la grandezza di un pittore che in 36 anni (morì tragicamente giovane) seppe conquistarsi una fama quasi pari a quella del maestro Guido Reni, all’epoca considerato il divo mondiale della pittura.
Cosa si vede dunque alla mostra urbinate? Nei vari ambienti del pianterreno, allestiti per l’occasione con una bellissima illuminazione, si alternano i vari momenti della produzione del pesarese: "Fu un pittore libero, che non guardò solo alla Bologna di Guido Reni, ma anche a Roma e altre scuole artistiche; seppe guardare e captare dappertutto", spiega Anna Maria Ambrosini Massari, cocuratrice.
Spesso Cantarini dipinse alcuni soggetti in più versioni, a volte con diverse tonalità più scure o più chiare: "Tra i vari dipinti di più generi – aggiunge Yuri Primarosa, altro curatore – come il ritratto, i quadri di storia, la mitologia, i dipinti sacri, si mette a fuoco la produzione per i più grandi committenti del suo tempo. Una efficiente bottega, nonostante la giovane età, lo aiutava a eseguire più repliche dei quadi maggiormente in voga, e spesso i doppi li realizza con tonalità diverse, per motivi puramente poetici". I dipinti da non perdere tra i 60 in mostra: l’Ercole e Iole da collezione privata; l’inedito Battista da collezione privata; il Sant’Andrea degli Uffizi; la Madonna della Rosa della collezione Caprotti; la sammarinese Allegoria della Pittura (quasi un autoritratto dissimulato) e infine la nobildonna Eleonora Albani, già Intesa Sanpaolo, da ora stabile a palazzo ducale: "Nel 2020 non avevamo alcun Cantarini – spiega il direttore Luigi Gallo – ora ne abbiamo ben undici, grazie a vari depositi di Stato e Fondazioni. Un museo che rappresenta sempre più l’arte marchigiana".
Appuntamento tra una settimana esatta, venerdì 30 alle 17, per la riapertura dello studiolo di Federico dopo il restauro dell’intero appartamento.
Giovanni Volponi