
Michele Gambini, 48 anni, con la moglie Silvia Veroli, 47 anni, e il medico che li ha assistiti
Pesaro, 22 giugno 2023 – Agata e Alice sanno tutto. Da sempre. Sanno che la loro mamma e il loro babbo le hanno attese per nove mesi a un continente di distanza. Sanno che prima di loro c’è stato un fratellino che non è mai nato e che la mamma ha cercato in capo al mondo un’altra mamma che custodisse il suo sogno per nove mesi. "E in quella pancia – racconta oggi Silvia – sono rinata anch’io". Michele Gambini, 48 anni, insegnante, e Silvia Veroli, 47, giornalista, sono i genitori di Agata e Alice, nate nel 2009 in America, da una madre surrogata. Lui, che è anche consigliere comunale a Pesaro, ha deciso l’altroieri di raccontare in Consiglio la sua storia.
Perché proprio ora?
"Perché c’è stato un inasprimento del linguaggio. E noi rifiutiamo l’assunto che tutte le gravidanze surrogate ledano la dignità della donna e del bambino".
Non tutte le storie sono uguali, però.
"Sì, delle derive ci possono essere ed è ovvio che la materia vada normata".
Avete intrapreso questo percorso in America. Timori al rientro?
"No. Entrambi abbiamo un legame biologico con le bambine, nessuno può dire che non sono figlie nostre".
A loro cosa avete detto?
"La verità, dall’inizio. Stacy, la madre surrogata, ha sempre mantenuto i contatti con loro, anche ora".
Come l’avete scelta?
"Le agenzie fanno un incrocio di profili: si compila un questionario. Stacy inizialmente non voleva genitori biologici stranieri, perché ci teneva a mantenere un rapporto con i bambini. Quando ha conosciuto la nostra storia ha cambiato idea".
E’ una storia iniziata con molto dolore.
"Aspettavamo un bambino, la gravidanza era andata sempre bene. Poi, all’ottavo mese, il piccolo è morto in grembo. E’ stata necessaria un’isterectomia. Quando Stacy l’ha saputo, è passata sopra la sua convinzione".
Era la prima volta che lo faceva?
"Sì, ma dopo di noi l’ha fatto anche per un’altra coppia. Aveva già due figli".
Perché ha deciso di farlo?
"Perché voleva aiutare qualcuno".
Però è stata pagata per questo.
"La madre surrogata percepisce dei soldi, all’epoca tra i 20 e 30mila dollari, ma rappresentano solo la sostituzione del reddito perso durante la gravidanza"
Quali sono stati gli step del percorso?
"Prima ci siamo conosciuti telefonicamente, poi siamo andati a San Diego per l’impianto degli embrioni fecondati in vitro e per l’ecografia in cui abbiamo scoperto il sesso. Infine, per la nascita".
E’ un percorso impegnativo, anche dal punto di vista economico, con cifre che si aggirano sui 100mila dollari.
"In realtà un po’ di meno, anche perché è andato subito tutto a buon fine".
Perché non pensare all’adozione?
"Quando il mio primo figlio è nato morto – spiega Silvia – ho dovuto elaborare non solo quel un lutto, ma anche che non avrei più partorito. In quei momenti ho pensato che l’adozione fosse un percorso non meno complicato, e sentivo di non averne la forza. Nell’utero di Stacy, è come se ci sia entrata anch’io. Ho elaborato così anche la mia rinascita".