ANTONELLA MARCHIONNI
Cronaca

Pagata dall’imprenditore per il sesso. Parla l’educatrice che aiutò la 16enne: "La rassicurai: sei tu la vittima"

La coordinatrice della comunità in cui viveva la ragazzina del caso Bezziccheri svela la drammatica storia "Capimmo che qualcosa non andava, poi abbiamo cercato di farle superare il senso di vergogna".

Pagata dall’imprenditore per il sesso. Parla l’educatrice che aiutò la 16enne: "La rassicurai:  sei tu la vittima"

Pagata dall’imprenditore per il sesso. Parla l’educatrice che aiutò la 16enne: "La rassicurai: sei tu la vittima"

Furono gli educatori della comunità i primi ad accorgersi che qualcosa non andava: la 16enne era turbata ma non riusciva a raccontare perché. Poi la ragazzina si confidò e da quel coraggio iniziale si mise in moto il meccanismo che l’ha salvata. A ricostruire il primo passo fuori dal dramma dell’adolescente che, in cambio di denaro e regali, consumò due rapporti sessuali nel 2016 con l’allora 66enne imprenditore Augusto Bezziccheri, è l’ex coordinatrice della comunità residenziale per minori in affidamento temporaneo di Fano, dove la ragazzina all’epoca si trovava. Augusto Bezziccheri, titolare della Isofom di Vallefoglia, si trova in carcere da venerdì scorso per scontare la pena a sei mesi per il reato di prostituzione minorile, diventata definitiva dopo aver attraversato tutti i gradi di giudizio. L’allora responsabile della comunità di Fano preferisce non comparire "nel rispetto del rapporto fiduciario con la ragazza e con la sua famiglia". Ha tuttavia deciso di raccontare la vicenda da cui ha avuto origine l’inchiesta e la successiva condanna dell’imprenditore di Vallefoglia per testimoniare che i minori affidati entrano a far parte di una rete di protezione che li tutela, sempre e comunque.

"Fu l’equipe degli educatori ad avere il sospetto che ci fosse qualcosa che non andava – racconta l’allora coordinatrice della struttura – e che c’era un aspetto del proprio vissuto che la turbava. Sulla base della segnalazione degli educatori feci il colloquio con la ragazza. Raccolsi la condivisione di quello che lei ebbe il coraggio di raccontarmi. Abbiamo quindi condiviso il racconto con i servizi sociali e ci siamo mossi come una vera squadra. Con i servizi sociali abbiamo quindi condiviso il passaggio successivo che è stato quello di andare alla polizia. Mi sono accorta che raccontare una cosa del genere ha generato in termini emotivi un misto di vergogna e paura legato all’interrogativo ‘e adesso cosa succede?’. Doveva fare i conti con la paura, ad esempio, che questa situazione potesse aggravare la sua posizione all’interno del contesto comunitario. I minori arrivano infatti in comunità con un provvedimento di affidamento temporaneo del tribunale. Sono i servizi sociali a redigere una relazione al tribunale che decide per, tutela nei loro confronti, di spostarlo fuori dalla famiglia di origine sia per difficoltà di contenimento del minore stesso sia per difficoltà familiari. La percezione che il minore ha di tutto questo è ‘la mia famiglia è in errore e a pagare sono io’ e la vedono come un’ingiustizia, come una punizione".

"Quando, come in questo caso, succede qualcosa che devia dal percorso ordinario il loro timore è che venga compromessa la loro permanenza in comunità ad esempio allungandola. Io l’ho rassicurata dicendo che lei era la vittima e che le vittime non vanno punite ma supportate e tutelate da un sistema di accudimento che funziona come una matriosca. Al centro di tutto c’è il minore e intorno a lui gli educatori, la coordinatrice, i servizi sociali e il tribunale. Il filo rosso in questa storia è stata la rassicurazione e la percezione che abbiamo voluto trasmetterle di essere vittima di qualcosa che non era stata colpa aiutandola a superare la vergogna e il senso di paura".