Prosegue la nostra cavalcata nell’Inferno dantesco a caccia di protagonisti più o meno celebri, di portatori di storie bizzarre, moniti ed esempi da non emulare. In Inferno XXXII c’è Tebaldello de’ Zambriasi un romagnolo, un burlone. Perché un "burlone"? Perché è noto per uno scherzo, che gli costò molto caro. Mentre Faenza dormiva, il giorno 13 novembre dell’anno 1280 aprì le porte affinché facessero irruzione in città i Geremei, famiglia bolognese. Tebaldello si voleva vendicare di una burla subita dalla famiglia dei Lambertazzi. Cosa c’entrano i Geremei? Ebbene questi ultimi erano fazione avversa ai Lambertazzi.
"Sorpresa!" verrebbe da dire, oppure "il tipico scherzo da prete", andò a finire male per tutti. A proposito di lazzi, attenzione ai Malebranche, diavolacci che controllano la quinta bolgia (Inferno XXI). C’è anche spazio per la Chanson de Roland. All’Inferno troviamo Ganellone (Ganelon) o Gano colui che si accordò con i saraceni in terra di Spagna per attaccare la retroguardia di re Carlo Magno a Roncisvalle, nei Pirenei. Ci lasciò le penne il paladino Orlando, che si trovava a chiusura della carovana reale. Gano, il simbolo del tradimento è citato in Inferno XXXII.
Come vicino di casa c’è Gaddo della Gherardesca (in Inferno XXXIII), uno dei figli del conte Ugolino (di cui parlammo qualche uscita fa) e con il padre rinchiuso e lasciato morire in una torre. La lettera G mi fa venire in mente anche il grande – e locale – Galasso di Montefeltro, signore di Secchiano in Valmarecchia, figlio del conte Cavalca di Monte Copiolo e, soprattutto, podestà di Cesena, è menzionato in Inferno XXVII. Altri personaggi della famiglia Montefeltro trovano menzione nella Divina, il più importante è certamente Guido (Inferno XXVII quando si parla del "sanguinoso mucchio", ne discuteremo!).
Daniele Sacco