
La folla in fila all’inaugurazione della Ca’ del Liscio, siamo nel 1976 Un luogo simbolo per tanti anni del folklore romagnolo
Ravenna, 13 luglio 2025 – Parlare con il 77enne ravennate Guido Zampiga, amico e collaboratore storico di Raoul Casadei, direttore di sala della Ca’ del Liscio per 23 anni, significa ripercorrere come fossero istantanee i mitici anni Ottanta e Novanta, quelli del ballo, delle orchestre e della famosa balera romagnola di via Dismano. Ci sono tanti bei ricordi personali e professionali, venati da inevitabile nostalgia, soprattutto da quando si è appreso che il ‘tempio’ di Casadei – ribattezzato ‘Ca’ del Ballo’ da quando è stato rilevato dal gruppo Angeletti – è andato all’asta.
Zampiga, cosa ha rappresentato per lei Raoul Casadei scomparso nel marzo 2021?
“Un amico da ben 52 anni che mi ha regalato un’incredibile esperienza di vita. Grazie a lui, ho avuto la possibilità di realizzare un sogno: quello di ‘entrare’ nel mondo del ballo, la mia passione. Per me, che avevo iniziato a lavorare come metalmeccanico alla Maraldi di Ravenna e abituato a girare per locali con la mia Lambretta, è stato qualcosa di incredibile”.
Quando e dove vi siete conosciuti?
“Nel 1974, alle Cupole di Castel Bolognese dove si stava girando ‘Vai col liscio!’, il film per la televisione con l’Orchestra Spettacolo Casadei per offrire una panoramica sulla musica popolare, ‘da ballo’, a base di polke, mazurche e valzer”.

La sintonia fu immediata?
“Sì, tant’è che poco tempo dopo, mi propose di aiutarlo per il ‘Giro d’Italia’, il 59esimo, che Raoul seguiva viaggiando su una nave con le due ruote, anticipando l’ultimo chilometro di ogni tappa. La gente dalle finestre, aspettando i corridori, chiedeva le canzoni e Raoul gliele dedicava dal vivo, insieme ai tanti ospiti sul palco con lui, in collaborazione con Sorrisi & Canzoni Tv”.
Lei accettò subito di girare l’Italia con un pulmino ‘logato’ Ca del Liscio, in quel momento in costruzione?
“Certo, era un’occasione unica, di quelle da non lasciarsi scappare, perché non solo era tutto gratuito ma si riusciva anche a prendere qualcosa”.
E con lei venne anche una ragazza…
“Raoul mi disse che potevo portare anche l’amica che era con me quella famosa sera alle Cupole. Poi è diventata mia moglie e Raoul ci ha fatto da testimone di nozze. Erano altri tempi e, per farla venire con me, ho dovuto chiedere la sua mano alla famiglia. Ricordo che la madre era perplessa, perché non sapeva cosa avrebbe fatto uno come me che non era né corridore né cantante al Giro d’Italia, ma alla fine ci diede il consenso”.
La collaborazione con Casadei proseguì con la ‘Nave del sole’ che partiva ogni giorno da Gatteo Mare con i turisti…
“Sì, mi occupavo di promozione andando negli alberghi dove distribuivo inviti. Anche questo fu un progetto incredibile iniziato nel 1984 e andato avanti fino ai primi anni Novanta. L’idea era quella di trasferire la musica romagnola in Riviera, portandola in spiaggia con una nave costruita in modo da avere una pista da ballo. Era una grande attrazione: la gente saliva, mangiava, ballava, si incontrava e senza spendere tanto si divertiva”.
Di cosa si è occupato invece alla Ca’ del liscio?
“Inizialmente lavoravo in ufficio e facevo la prenotazione tavoli, poi sono diventato direttore di sala, mentre mia moglie ha lavorato come cassiera fino alla nascita di nostra figlia Francesca. Lì sono rimasto fino all’inizio del 2000, quando il locale è stato venduto alla famiglia Angeletti”.
Raoul ha spesso parlato del locale come della sua ‘opera incompiuta’. Perché?
“Ci investì i suoi risparmi. La sua ambizione era quella di fare una vera e propria cittadella aperta 24 ore su 24, in cui la gente che passava per la strada poteva trovare sempre un bar/ristorante aperto e un grande centro dello spettacolo con sala da ballo, spaziando anche in altre discipline dalla musica al teatro, dalla lirica alla commedia dialettale romagnola. Si riuscì comunque a fare molto, ogni evento attirava migliaia di persone. Una curiosità? Ci fu persino qualche incontro di boxe: Valerio Nati diventò campione d’Italia alla Ca’ del Liscio”.
Si può dire che gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta siano stati gli anni d’oro del locale?
“Sì. Ricordo in particolare un concerto di Claudio Baglioni, una domenica pomeriggio, che portò nel locale oltre 3.200 persone, con pullman che arrivavano da tutta Italia. Ci fu bisogno di un dispiegamento speciale di forze dell’ordine, con via Dismano bloccata. E lo stesso accadde per molti altri eventi”.
A proposito di artisti, qual è stata la richiesta più particolare?
“Di ogni artista eravamo soliti chiedere all’impresario l’elenco dei prodotti preferiti, tipo marca dell’acqua, quanti asciugamani e cose di questo tipo. Grace Jones per la sua esibizione, una volta, fu categorica: voleva il fumo in scena. Noi eravamo attrezzati perché già lo usavamo la domenica pomeriggio per la discoteca dei ragazzi. Per fare restare basso il fumo serviva il ghiaccio secco che poi evaporava. Fu necessaria una spedizione extra all’Anic, a quella che chiamavamo la ‘fabbrica del ghiaccio’ e tutto si risolse”.
Quali altri personaggi del mondo dello spettacolo, fra i tanti, le sono rimasti impressi?
“Per me è stata una fortuna potermi relazionare con artisti che altrimenti avrei potuto vivere solo da spettatore. Per esempio Adriano Celentano che, in occasione di un concerto, diede appuntamento proprio alla Ca’ del Liscio a Cesare Ragazzi, per cercare di far crescere i capelli, il suo cruccio. Indimenticabili sono stati anche Ella Fitzgerald, Ray Charles e Raffaella Carrà. Quest’ultima accettò di farsi fotografare in camerino con mia figlia Francesca che aveva solo 5 anni. Una foto simbolica per lei che tuttora custodisce con affetto”.
E del piccolo Mirko Casadei che ricordi ha?
“Tantissimi. A 8,9 anni veniva in sala e si divertiva a correre con altri bambini. Lo seguivo con attenzione e, quando lo perdevo di vista, sapevo che lo avrei trovato addormentato in un divanetto nelle ultime file”.
Raoul, quando capì che il progetto non decollava come avrebbe voluto?
“Da grandissimo professionista qual era, già alla fine degli anni Ottanta capì che il mondo stava cambiando, che la tradizione romagnola non reggeva. Una volta si andava a ballare per divertirsi, poi sono nate le scuole di ballo. Era una cultura del ballo trasformata in spettacolo”.
Si sono persi i valori del ballo?
“Sì. Per molti della mia generazione, il ballo era il vero divertimento, l’unica alternativa era il cinema. Oggi non è più così. All’epoca c’erano 80 locali in Romagna e tutti sono venuti a mancare, uno dopo l’altro, proprio per la carenza di questa cultura del ballo. A me come a tanti altri, restano però meravigliosi ricordi”.