All’Osservanza Tempi molto lunghi per il ripristino del cimitero

I lavori procedono senza sosta ma anche se le operazioni sulla parte monumentale sono vicine alla fine, la riapertura non sarà immediata. Altre zone ancora coperte dal fango.

All’Osservanza  Tempi molto lunghi  per il ripristino  del cimitero

All’Osservanza Tempi molto lunghi per il ripristino del cimitero

Un lavoro immane, quello della rimozione del fango dal cimitero dell’Osservanza di Faenza; un lavoro che procede senza soste da una quindicina di giorni e che ha davanti a sé prospettive temporali lunghissime, di mesi. "Ma non per tutti i settori. Il lavoro di ripristino della parte più antica, monumentale è a buon punto, mentre non si possono fare previsioni per le aree più a sud, quelle sommerse da metri di acqua e fango": sul piazzale antistante l’ingresso al complesso monumentale, chiuso da barriere da recinzione di cantiere, un gentile impiegato di Azimut risponde alle domande dei tanti faentini, soprattutto anziani, che cercano di sapere quando potranno andare a portare fiori alle tombe dei familiari. Il fatto è che al non lontano ripristino completo della parte monumentale e di quelle immediatamente limitrofe non ne consegue l’immediata riapertura in quanto prima dovrà essere verificata la sicurezza delle strutture (tempietti tombali compresi, evidentemente) sottoposte a pressioni enormi dall’immane quantità di acqua uscita dalle due rotte del Lamone (16 e 17 maggio) nell’argine adiacente al perimetro cimiteriale. E potrebbe non essere un lavoro di breve periodo.

Man mano che dall’area antica ci si muove verso le più recenti occupazioni, in terra e nei loculi e, quindi, verso le anse del Lamone, verso sud-est, i segni dell’inondazione sono ancora evidenti. All’altezza della rotta dell’argine a ridosso del muro perimetrale, nei pressi delle due casematte che mezzo secolo fa erano adibite a canile comunale, sono stati rimossi i blocchi di mattoni crollati, sono state ricollocate per quanto possibile le lapidi divelte dall’acqua ma non frantumate, sono stati rimossi i detriti, ma bobcat e ruspe continuano a tutt’oggi a rimuovere montagne di fango.

Mentre a breve distanza un autospurgo da giorni aspira ancora acqua. I vialetti sono ripristinati, il prato che era ricoperto da una spanna di fango, appare rigenerato e l’erba è verde; le pareti, i corridoi dei loculi, le lapidi, sono ripuliti. Qui tre settimane fa c’era un mare di fango e acqua con inquietanti, nere, scie maleodoranti. Ma è l’area confinante, ancora più a ridosso del Lamone, che ancora oggi si offre alla vista in tutto il suo desolante aspetto di devastazione.

Ancor più desolante rispetto ai giorni successivi all’inondazione perché ora i segni dell’acqua e del fango nel frattempo seccato sono ancor più evidenti anche sui tetti dei loculi alti oltre tre metri, sugli alberi di alloro che fino a quell’altezza presentano le foglie ricoperte da polvere grigiastra. Davanti alle più recenti costruzioni con quattro file di loculi in altezza, la vasta area per le sepolture in terra è ricoperta da uno strato di fango spesso e indurito che imprigiona, è il caso di dire in una morsa mortale, illeggibili lapidi a pezzi, brandelli di croci, fiori plastificati, vasi.

Qui l’inondazione è giunta da sud, dalla rotta dell’argine a ridosso del quartiere Orto Bertoni, tre metri di acqua come indicano le tracce sulle foglie dei peschi del campo adiacente, oggi trasformato in acquitrino dove rane e ranocchi si fanno sentire. Acqua che più a valle si è unita, in una terribile tenaglia, a quella proveniente dall’altra falla, quella che ha devastato il muro del cimitero. E che, come si legge a fianco, è ancora incredibilmente aperta.

Carlo Raggi