
Quasi quarant’anni in giro per il mondo con la divisa dell’esercito. "Grazie alla mia conoscenza del serbo-croato nel 1996 fui scelto per andare con la Nato a Sarajevo. Furono anni molto duri".
Quasi 40 anni con la divisa dell’esercito, da quando compito primario delle forze armate era quello di tener testa, al confine con la Jugoslavia, a un’eventuale invasione del Patto di Varsavia, poi con gli anni 90 i primi impieghi nelle operazioni di controllo del territorio come i ‘Vespri siciliani’ per passare alle missioni militari sotto l’egida dell’Onu, nelle zone calde dell’ex Jugoslavia, dell’Albania, del Medio Oriente con il Libano in primo luogo; poi con il nuovo secolo, quando l’Italia fu membro temporaneo del Consiglio di Sicurezza, per Fabio Bendinelli si è aperto un lungo periodo alle dirette dipendenze delle Nazioni Unite con un ruolo di dirigenza all’interno delle missioni Unifil in Libano, Mali e Repubblica Centrafricana. Prossimo alla promozione a generale di Brigata, Bendinelli può ben annoverarsi fra i grandi esperti di pianificazione di operazioni civili e militari a livello strategico e tattico.
Una serie di missioni ad alto rischio, soprattutto quelle in Africa... "Pensi che la Repubblica Centrafricana era considerato fra i luoghi più pericolosi del mondo per rischio conflitti, terrorismo, epidemie. C’era stata la guerra civile e quando ero là, fra il 2016 e il 2021, le condizioni erano terrificanti; facevo parte della missione Onu ‘Minusca’, 16mila uomini; ero responsabile della catena logistica degli approvvigionamenti in un territorio dove la maggior parte delle strade era impraticabile. Per non dire della precedente missione in Mali dove il nord del Paese nel 2012 era finito in mano ai jihadisti".
Mi sembra di capire che abbia trascorso all’estero buona parte della sua vita professionale. "Più di vent’anni, fino al 2020, a cominciare dal ‘96; ero capitano, quando con la missione Nato ‘Joint Endeavour’ rimasi sei mesi a Sarajevo, che a lungo era stata sotto assedio. A seguito degli accordi di Dayton dovevamo far rispettare il cessate il fuoco, organizzare le elezioni, attrezzare i seggi, convincere la popolazione che si stava avviando un meccanismo democratico e noi e Osce eravamo lì per garantire il rispetto delle regole. Non fu facile, ma ci riuscimmo".
Torneremo sulle missioni all’estero. Mi dica come intraprese la carriera militare. "Volevo rendermi indipendente e poi la divisa mi attirava, così subito dopo il diploma al liceo classico, era il 1983, diedi il concorso per entrare all’Accademia di Modena e fui ammesso; poi la laurea in scienze strategiche a Torino e un master, iniziò così la mia vita professionale".
All’epoca dove abitava? "A Ravenna, eravamo arrivati quando avevo otto anni. Il babbo, Marcello, nativo della Toscana, lavorava al laboratorio chimico dell’Anic. Sono nato a Riolo Terme, la mamma, Francesca Sagrini, è originaria di Borgo Rivola, poi l’Anic mandò il babbo in Basilicata e ci trasferimmo là, quindi nuovo trasferimento e nel ‘72 arrivammo a Ravenna dove ho finito le elementari, poi le medie e il liceo".
Quale fu la sua prima destinazione nell’esercito? Anche se con Gorbaciov il clima si andava rasserenando, eravamo pur sempre in regime di guerra fredda... "Ovviamente al nord-est, dove era dislocato il grosso dell’esercito. Io, neo tenente, ero di base a San Lorenzo Isonzino vicino a Gorizia. Il confine con la Jugoslavia era zeppo di bunker e torrette armate. Il nostro compito era quello di contrapporsi a una eventuale invasione sovietica anche se non ci si credeva più molto. Va da sé che noi militari potevamo andare nel territorio sloveno con grande facilità, c’era familiarità con la popolazione...In quegli anni fui impegnato anche in operazioni di sicurezza in varie città... ricorda i Vespri siciliani".
Intanto la storia proseguiva, dopo il crollo del muro di Berlino arrivò la dissoluzione della Jugoslavia. "A fine giugno del ‘91 ci fu la battaglia del valico della Casa Rossa fra Gorizia e Nova Gorica, a duecento metri da casa mia...lì si faceva la storia ne fummo tutti testimoni: gli sloveni avevano votato per l’indipendenza, l’esercito federale jugoslavo cercò di fermarli con i carri armati, la battaglia durò dieci giorni, poi i serbi si ritirarono...ma la guerra continuò, in Bosnia...".
Crollato l’impero sovietico anche la ‘fanteria d’arresto’ al confine slavo fu smobilitata... "Proprio così; nel 1995, avevo il grado di capitano, fui trasferito a Roma allo Stato Maggiore. In quell’anno furono firmati gli accordi di Dayton per la fine delle ostilità nella ex Jugoslavia e siccome anni prima avevo comunicato che conoscevo il serbo-croato, nel ‘96 fui scelto per la missione Nato a Sarajevo di cui le parlavo, ero l’ufficiale addetto alla cooperazione civile-militare e alle operazioni elettorali...".
Fu l’avvio di una lunga attività quasi tutta all’estero... "Infatti. Poco dopo il rientro dalla Bosnia, nel 1997 partii per l’Albania con la missione della Ue ‘Alba’ guidata dall’Italia. Il Paese, dopo la crisi finanziaria e sociale legata alle ‘piramidi’, era fuori controllo, noi andammo per stabilizzare la situazione e organizzare le elezioni. Vinse Berisha... La missione, con compiti anche di addestramento militare, si protrasse fino al ‘99 perché nel frattempo si era inserita la guerra in Kosovo".
Il rientro a Roma fu di breve durata... "Giusto il tempo di progettare la costituzione di un comando Nato a Motta di Livenza; poi, fra gli altri incarichi ebbi anche quello di istruttore presso il Centro training della Nato ad Ankara; nel 2006 fui mandato all’Onu per pianificare la missione Unifil in Libano, tuttora in corso, una missione di altissimo profilo che vede l’importante partecipazione dei militari italiani. Ero tenente colonnello".
Un periodo storico di grande rilevanza internazionale dell’Italia, se non erro... "Al ruolo in seno all’Unifil, per l’Italia si aggiunse il biennio di presenza al Consiglio di sicurezza dell’Onu e fui mandato di rinforzo alla rappresentanza italiana presso le Nazioni Unite per assistere i nostri diplomatici sui fronti Medio Oriente e peace keeping. Mesi di straordinario impegno, partecipavo all’Assemblea generale, al Consiglio di sicurezza, il segretario generale era Kofi Hannan, roba da film...! Tanto che decisi di restare e per farlo partecipai e vinsi un concorso indetto dall’Onu".
Quale fu il suo ruolo? "Facevo parte di un ufficio incaricato di selezionare le forze per le missioni internazionali. Ho girato mezzo mondo, con particolare frequenza l’Oriente, Nepal, Sri Lanka, Malesia, Giappone, Bangladesh etc. Poi nel 2011 partecipai a una selezione in seno alla missione Unifil in Libano e fui ammesso, come civile: il mio ruolo era quello di capo della logistica. Rimasi a Beirut cinque anni!" Ma la sua attività all’estero non era conclusa... "Affatto. Siamo al periodo di cui le parlavo all’inizio, che comprende le missioni in Mali e nella Repubblica Centrafricana. Qui c’ero nel 2020, quando scoppiò l’epidemia di Covid e vennero bloccate le frontiere...non può immaginare le situazioni che dovetti affrontare. Rientrato in Italia sono rimasto un anno a Firenze e ora sono qui a Ravenna e a breve sarò definitivamente a riposo".