REDAZIONE RAVENNA

Beve un bicchiere di troppo. E il Tar gli nega la cittadinanza

Un 40enne operaio magrebino fu trovato positivo dopo una cena. Ora valuta il ricorso in appello

L’uomo. per 0,7 di alcol (nel 2007 era penale). subì un decreto di condanna. Ma per il Tar non ha mostrato «convinta adesione ai valori dell’ordinamento»

L’uomo. per 0,7 di alcol (nel 2007 era penale). subì un decreto di condanna. Ma per il Tar non ha mostrato «convinta adesione ai valori dell’ordinamento»

Cena tra colleghi e poi verso casa. Ma all’improvviso paletta ed etilometro. Quando si dice un bicchiere di troppo. In realtà il tasso alcolemico che aveva fatto segnare (0,7), oggi sarebbe un illecito amministrativo e non più penale (la soglia è 0,8). Ma all’epoca – siamo nell’ottobre del 2007 - gli era costato un decreto penale di condanna. Le conseguenze si sono manifestate ora sottoforma di un no alla cittadinanza italiana. Protagonista del singolare caso, è un operaio 40enne di origine magrebina, da oltre vent’anni sul suolo ravennate con tanto di famiglia, figli, casa di proprietà, mutuo e buon stipendio.

Peraltro con tutti i familiari – compresa una sorella influencer – con cittadinanza italiana. Ed è pure incensurato visto che nel settembre 2022 la richiesta di revoca della condanna dopo depenalizzazione, era stata subito accolta. Tuttavia – hanno scritto i giudici del Tar del Lazio nella sentenza pubblicata ieri - si richiede che chi fa domanda per la cittadinanza italiana, "sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società: ma che sul piano dei valori mostri una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento di cui egli chiede di far parte". A questo punto per il 40enne, tutelato dall’avvocato Emanuela Fregola, si aprono due strade: quella di una nuova domanda o quella di un ricorso al Consiglio di Stato.

Il desiderio formale di diventare italiano a tutti gli effetti, era partito il 15 giugno 2015, data dell’istanza al ministero. Cinque anni dopo, al netto delle verifiche, l’amministrazione aveva respinto la domanda "essendo emersa la mancata coincidenza tra interesse pubblico e interesse del richiedente". A pesare era stato quel decreto penale di condanna emesso dal gip del tribunale di Ravenna il 28 ottobre 2007. A quel punto l’aspirante cittadino aveva fatto ricorso lamentando, tra le altre cose, l’irragionevolezza della scelta. Ma per il Tar capitolino "il ricorso è infondato".

Nel merito della questione, il collegio – presieduto dal giudice Alessandro Tomassetti – ha sottolineato che "l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione, è oggetto di concessione che presuppone amplissima discrezionalità" di chi deve decidere. Nel nostro caso la discrezionalità si traduceva in "un apprezzamento di opportunità" sul "definitivo inserimento all’interno della comunità nazionale". In altre parole, "si tratta di valutare il possesso di ogni requisito che escluda che il richiedente possa creare problemi e disattendere le regole di civile convivenza". E quel decreto per la guida in stato di ebbrezza, "ha evidenziato una condotta pregiudizievole" capace di "incidere sull’integrità fisica e sulla libertà delle persone, causando grave allarme sociale".

Tanto più che – sempre secondo il Tar - "il reato di guida in stato di ebbrezza, è connotato da un particolare disvalore in quanto suscettibile di mettere a rischio l’incolumità dei cittadini". In definitiva da quel bicchierino in più, i giudici hanno dedotto "un’insensibilità al rispetto delle norme del Codice della Strada che non può essere sottovalutata".

Andrea Colombari