REDAZIONE RAVENNA

Carla Soprani: "Una vita nel volontariato. Prima i tossicodipendenti. Ora aiuto gli immigrati"

Mezzo secolo dedicato agli altri, quello della presidente del Comitato cittadino antidroga "Iniziai a 23 anni. Ho condiviso l’impegno con mio marito. Quanti ragazzi vidi morire..." .

Mezzo secolo dedicato agli altri, quello della presidente del Comitato cittadino antidroga "Iniziai a 23 anni. Ho condiviso l’impegno con mio marito. Quanti ragazzi vidi morire..." .

Mezzo secolo dedicato agli altri, quello della presidente del Comitato cittadino antidroga "Iniziai a 23 anni. Ho condiviso l’impegno con mio marito. Quanti ragazzi vidi morire..." .

di Carlo Raggi

Rispettare e condividere con gli altri, ecco le due regole che da oltre mezzo secolo ancora modellano l’impegno quotidiano di Carla Soprani sul fronte del volontariato, impegno che per lunghi decenni ha assolto assieme al marito e che per oltre 36 anni ha condiviso con l’attività professionale, nella segreteria amministrativa di una notissima ferramenta. Volontaria sul fronte della tossicodipendenza, Carla è stata testimone del dilagare del fenomeno nei vari siti cittadini, da piazza san Francesco alla Loggetta, alla ex Callegari, ha assistito impotente al diffondersi delle morti per Aids, ha fatto parte delle unità di strada in aiuto a tossici e a migranti, da sette anni è presidente del Comitato cittadino antidroga e dal 2003 le è stata affidata la gestione del dormitorio ‘Re di Girgenti’ di via Mangagnina. "Ma io e mio marito abbiamo avuto tempo anche per viaggi e concerti".

Come è cominciato il suo impegno a favore degli altri?

"Se ricordo bene ho cominciato nel ‘67-‘68, avevo neanche 24 anni, e qualche tempo dopo sono entrata nel Comitato cittadino antidroga appena costituito, era presidente Giambattista Marchi. Con altri volontari andavo in ospedale e alla Domus Nuova dove erano ricoverati tossicodipendenti in attesa di un percorso di recupero, per vigilare affinché non venissero avvicinati dagli spacciatori!"

All’epoca il volontariato era agli albori, il Comitato antidroga fu il primo esempio, se non erro…Cosa la spinse a farne parte?

"Fu la situazione di mio fratello minore che aveva cominciato a fare uso di stupefacenti. Riuscii poi a farlo entrare nella comunità del Ceis. Ma la motivazione di fondo di dedicarmi agli altri veniva da lontano, dall’asilo. "I miei genitori erano braccianti e quando ero piccola mi mandavano all’asilo che la contessa Laura Vitali aveva fatto costruire prima della guerra a San Pietro in Campiano in memoria dei suoi figli; il fabbricato c’è ancora, oggi è scuola materna. L’asilo era gestito dalle suore della Sacra Famiglia, era gratuito e a tempo pieno e lì imparai alcune regole fondamentali: avere rispetto per gli altri, aiutarsi a vicenda, eravamo una piccola comunità di bambini. E poi la lezione in casa, dove occorreva aiutare babbo e mamma. Ecco, nasce da tutto questo la mia predisposizione di fondo di dare una mano a chi ha bisogno".

Lei da piccola abitava quindi a San Pietro in Campiano.

"Certo, sono nata lì, 19 giorni dopo la liberazione di Ravenna. Il babbo si chiamava Ermanno e la mamma Maria Camerani. Ho frequentato le scuole elementari della frazione, mentre per le medie andavo a San Pietro in Vincoli, in bicicletta, quattro chilometri, sole, pioggia, neve, lungo via del Sale. Eravamo una quindicina, ci divertivamo. Alle medie ho frequentato i corsi professionali per segretaria, dattilografia, stenografia, contabilità, li tenevano in via Guaccimanni a Ravenna e a 16 anni al pomeriggio andavo a fare pratica da un ragioniere commercialista, Bulgarelli, in via Romolo Gessi, davanti alla Banca d’Italia. Poi a 18 anni sono entrata come apprendista in amministrazione nella bulloneria-viteria che si chiamava Cober, in piazzetta Padenna. In quel periodo abitavamo a Longana, il babbo lavorava lì, sempre nei campi della contessa Vitali. E a 26 anni diventai dipendente di Bandoli e Campese, in piazza Anastagi: avevano acquisito la ferramenta in cui lavoravo. E lì sono rimasta per 36 anni e nove mesi!".

Lei ha affiancato al lavoro il volontariato.

"E non ero sola, c’era anche mio marito con me, abbiamo fatto 40 anni di volontariato insieme. E’ morto lo scorso anno".

Quando vi sposaste?

"Nell’agosto del ‘68. Avevo conosciuto Gian Remo, di cognome Bassini, lungo il viale della Stazione. Lui era sempre lì quando io prendevo la corriera per tornare a casa: era un carabiniere. All’epoca in campagna non vedevano bene i carabinieri per via dei frequenti interventi contro i braccianti impegnati nelle lotte per migliori qualità di lavoro e vita. I miei genitori comunque non hanno mai detto nulla".

Faceva già volontariato?

"Sì, poche cose, ma in campagna molto apprezzate, andavo a fare la spesa per chi non poteva, aiutavo le persone anziane, poi l’ingresso al Comitato Cittadino Antidroga".

Ha assistito alle dinamiche dei luoghi dello spaccio e del consumo, dove accadeva anche che i ragazzi morissero.

"Come in piazza San Francesco, sotto il porticato della biblioteca! Sì, all’epoca a Ravenna ce n’erano molti di ragazzi che morivano per overdose. Se soccorsi in tempo si potevano salvare, con il Narcan, ne salvai uno anch’io…lo ritrovai tempo dopo a San Patrignano, mi riconobbe. Negli anni 70 e i primi 80 il luogo di ritrovo e spaccio erano piazza San Francesco e la Loggetta Lombardesca. La prima fu il ritrovo dei primi tossicodipendenti, stavano lì giorno e notte, poi lo spaccio si spostò all’ex Callegari e in altre zone". Scopo del Comitato era quello di contattare i ragazzi e convincerli a un percorso di recupero…

"E non era certo facile. Due volte al mese andavo anche in carcere a incontrare i tossicodipendenti reclusi, i colloqui erano fondamentali. Avevamo seguito su questo un corso di formazione della Regione".

Poi le unità di strada

"Si usciva alla sera, dopo le 22 e si stava fuori gran parte della notte. E alle 8 ero al lavoro alla ferramenta! C’erano fronti operativi diversi, ad esempio la Giovanni XXIII interveniva sul fronte della prostituzione, mentre noi del Comitato Cittadino ci occupavamo, in collegamento con il Sert, della tossicodipendenza, poi, dagli anni 90, iniziai ad interessarmi degli immigrati".

Dove li incontrava?

"Alla stazione, si ritrovavano lì, cercavano un lavoro. Nelle unità di strada c’era anche mio marito. Lui c’è rimasto fino al 2008, io ho smesso nel 2003, ma sono rimasta nel Comitato cittadino di cui da sette anni sono presidente. Mi piace ricordare i predecessori Antonio Zannoni, Ennio Bendandi".

Lasciò le unità di strada per via del ‘Re di Girgenti’

"Il dormitorio, per dare un pasto e un tetto alla notte a chi non ha casa. Con il Comune e i Servizi sociali, in particolare con Roberta Giacci, Sonia Salti e Concetta Di Bella, si cominciò a parlarne nel 2000, tre anni dopo fu aperta questa struttura e me ne fu affidata la gestione. A prestare l’opera qui dentro siamo in una quindicina, tutti volontari".

Il nome, Re di Girgenti, come venne fuori?

"Dal romanzo di Camilleri, fu Roberta Giacci a indicarlo. Abbiamo una ventina di ospiti e ognuno di loro a turno deve prestare un po’ della propria opera qui dentro: pulire, preparare la cena, lavare i piatti, rassettare, fare le lavatrici, sistemare la cambusa. E’ tutto disciplinato. Alla sera c’è anche la distribuzione delle sportine, in genere una quarantina, per chi vive all’esterno. Le preparano i volontari, con gli alimenti che tanti ci donano".