Dieci ore passate in Pronto Soccorso, fra attesa e abnegazione

L'esperienza di attesa al pronto soccorso di Ravenna evidenzia criticità organizzative e professionali, ma anche il valore della sanità pubblica sostenuta dalle tasse.

Del pronto soccorso dell’ospedale civile di Ravenna si narrano i tempi biblici d’attesa come fossero un evidente segno d’incapacità professionale e organizzativa. Il destino, che per definizione di Giuseppe Saragat è cinico e baro, mi ha riservato la possibilità del tutto indesiderata e imprevista di trascorrervi dieci ore. Dieci ore in cui la preoccupazione personale ha convissuto con la realtà credo usuale, quotidiana, di questo reparto che potrei definire di trincea. Sì, perché in quelle ore ho visto un flusso continuo e inarrestabile di persone infortunate, oppure soggette a patologie improvvisamente precipitate.

I locali del nuovo pronto soccorso sono piuttosto vasti e anche direi abbastanza funzionali, eppure tutti erano occupati da barelle da corsia utilizzate: gente strappata alla casa, accompagnatrici ad assistere il proprio congiunto con quell’ansia inevitabile che il luogo comunica. Non sono in grado di affermare se il numero dei sanitari fosse rapportato alla quantità di ricoverati oppure no, ma posso dire d’aver visto medici e paramedici lavorare sodo, correre quando serviva, usare attenzione e cortesia nei confronti di chiunque si comportasse ragionevolmente. Dico questo poiché, ed è comprensibile, per ciascuno il valore del proprio congiunto è superiore a quello degli altri e in quei momenti d’emergenza e di stress a volte si tende a esprimere una tendenza polemica inconsueta, se non una vera e propria aggressività nei confronti dei sanitari: quest’ultimi spesso giovanissimi, alcuni stranieri. Ho osservato a lungo, ho sollecitato interventi di routine – una padella, un antidolorifico – o semplici informazioni per inquadrare razionalmente una situazione difficile da razionalizzare. E mi è venuto da pensare che tutto quel che vedevo, dalle strutture alle attrezzature, dai supporti informatici alle flebo di soluzione salina, dal personale alle scarpe e alle divise dello stesso, è pagato e sostenuto dalle tasse.

La sanità pubblica è il servizio con cui, prima o poi, avremo a che fare, e la sua esistenza – al pari della sua qualità – la si deve unicamente alle tasse che paghiamo e che non tutti pagano correttamente, salvo poi ricevere le stesse cure di chi mai si è sottratto al suo dovere di contribuente. Credo che il senso civico e i doveri che da esso discendono dovrebbero tornare a essere sia materia di insegnamento, sia valore morale e sociale.

Paolo Casadio