REDAZIONE RAVENNA

Musca: "Ishikawa? Io ero solo un consulente"

L’immobiliarista ieri sentito nel processo che lo vede imputato: "Tutto legittimo, agivo per l’internazionalizzazione del marchio"

Lui aveva fatto solo da consulente per l’internazionalizzazione del marchio e da collaboratore per organizzare l’aumento della produzione. Tutto legittimo a suo dire: il problema era sorto perché, a causa di questioni di cuore, a un certo punto l’altro invece di rimanersene a Miami era tornato Ravenna.

Per oltre un’ora e mezza l’immobiliarista Giuseppe Musca ha preso la parola nell’ambito del processo che lo vede imputato in ragione di alcune manovre realizzate nell’ambito delle consulenze offerte all’imprenditore Angelo Lupis, creatore del celeberrimo marchio di calzature Ishikawa e a sua volta imputato nel medesimo procedimento per una contestata evasione transfrontaliera milionaria. I due hanno scelto strade differenti: Lupis ha optato per un rito alternativo (ancora da discutere) mentre Musca – con altri due imputati – ha scelto il dibattimento. Ed eccolo ieri dentro a una impeccabile giacca blu offrire la sua verità alla corte talvolta sollecitato dalle domande del difensore Filippo Furno talvolta incalzato da quelle del pm Lucrezia Ciriello. "Ho una laurea in economia e faccio ancora il consulente aziendale", ha scandito. Da questo punto in avanti tutto il campo è stato occupato dalla questione Ishikawa: "Con Lupis il rapporto si era avviato nell’agosto 2013. Lui, che era proprietario del marchio, lo aveva concesso a una ditta di Barletta. I rapporti però si erano incrinati perché avevano iniziato a produrre una scarpa simile con tre stelle". E allora lo stilista gli avrebbe chiesto "se potevo mettergli a disposizione una società in sostituzione per assumere incarico di licenza".

Era il settembre del 2013 quando "lui firmò un preliminare d’acquisto del 10% di Alice Immobiliare che poteva diventare licenziataria”: questa la ragione della “caparra da 70 mila euro”. Quindi "nel 2014 fece altri due bonifici: ma mentre stavamo seguendo l’operazione, il 16 settembre morì sua madre" la quale "era cointestataria al 50% del marchio". Poco dopo arrivò l’idea di trasformare Ishikawa in un brand mondiale: "Mi disse che, grazie all’accordo con i fratelli, la totalità del marchio sarebbe stata sua. Viveva a Miami: mi disse che era intenzionato a internazionalizzare il marchio. Me ne presi carico". Dall’agosto del 2013 Musca aveva assunto "un incarico formale quale consulente in Scs, società che prestava consulenze d’affari". E, forte di quel ruolo, "ho sviluppato il progetto e ho fatto alcuni incontri con società specializzate in fiscalità internazionali. Mi rivolsi a una società di Chiasso perché la mia holding, la Italventure sa, aveva già rapporti".

Il progetto in particolare prevedeva "di distribuire il business di Lupis in più Paesi: la proprietà in Svizzera, la licenziataria mondiale a Miami, la società di stile sempre a Miami, la società produttrice e quella distributrice in Italia per via del made in Italy". Per Musca la finalità era legittima: "L’ottimizzazione fiscale". Il centro di tutto sarebbe stato a Miami "perché Lupis ha dichiarato che di lì operava. In questo modo distribuiva la royalties tra due società: quella americana e quella svizzera".

Il pericolo, certo, era la contestazione di interposizione fittizia: e allora "chiesi a un avvocato tributarista per avere un conforto sulla legittimità dell’assetto internazionale. Facemmo incontri con Lupis: l’avvocato gli disse che tutto reggeva se andava a vivere a Miami e non se poi andava a spasso per via Cavour. Lui aveva comperato pure una casa là: nel 2014 vi aveva effettivamente stabilito residenza. Ci sono stato due o tre volte per l’apertura di un negozio monomarca a Miami Beach". Ma "nel 2015 ha smesso di andare a Miami perché c’era il negozio di via Cavour, si era innamorato della commessa. Tanto che la Finanza ad agosto durante ispezioni lo trovò in casa in via Maggiore". Presto potrebbe essere Lupis a fornire la sua versione in aula visto che il pm ha anticipato di volerlo ascoltare.

Andrea Colombari