
Quei reperti riscoperti a distanza di 50 anni
E così, mezzo secolo dopo, nel giardino del Palazzo delle Esposizioni si ‘riscoprono’ i resti dell’antica fornace di maioliche faentine, ove, a cavallo fra il XV e il XVI secolo, lavorò Pirotto Paterni da cui poi quell’opificio prese a chiamarsi ‘Ca’ Pirota’, un nome che nel tempo fu anche marchio di produzione. Da qualche tempo infatti, in vista dei lavori di ristrutturazione dell’intero palazzo, sono in corso scavi nel cortile a opera della Soprintendenza e torna alla luce ciò che 50 anni fa, dopo i prelievi e le fotografie, fu ricoperto perché ritenuto di scarsa importanza storico-artistica.
Non è una novità la ‘riscoperta’ dei resti archeologici riseppelliti dopo scavi precedenti. A volte sono inutili, a volte conducono a risultati più avanzati. A Ravenna negli ultimi decenni è accaduto per almeno tre siti: il ponte sul Flumisellum in via Salara e sul Padenna in piazza Caduti e i resti della chiesa di S. Agnese in piazza Kennedy. Accade soprattutto quando la memoria storica, affidata alle persone, non è più disponibile e quando non si pone mente immediatamente alle pubblicazioni.
Fu a partire dal 9 agosto 1972 che il personale del Museo della Ceramiche condusse per alcune settimane una serie di scavi dai quali emersero la struttura dei forni e numerosissimi frammenti ceramici su cui l’allora indimenticato direttore del Museo Giuseppe Liverani, "dopo lunghi studi, scrisse un saggio su ‘Faenza’, storica rivista del Museo", testimonia Giorgio Cicognani, che all’epoca era giovanissimo collaboratore di Liverani. E aggiunge: "Nel 1974 di quei frammenti fu fatta anche una mostra". A sua volta la studiosa Marcella Vitali, presidente di Italia Nostra, evidenzia: "Studi sulla ceramica di Ca’ Pirota ne sono stati fatti anche successivamente, negli anni Novanta, dopo i ritrovamenti in occasione dei lavori nel largo del Portello. Nella biblioteca del Mic ci sono molti saggi sul tema".
Nella seconda metà del XV secolo, a Faenza, come nel 1976 annotava l’architetto e studioso Ennio Golfieri nella sua storia sulle origini e lo sviluppo della città, il borgo di Porta Imolese, in particolare l’area attorno alla chiesa di San Vitale, venne occupata da botteghe e abitazioni dei maiolicari, "tanto che alla fine del secolo poteva considerarsi un autentico quartiere artigiano dell’arte del fuoco sul tipo del Ceramico nell’Atene del V secolo". Si tratta dell’area in cui trovò spazio la fornace in cui lavorò Pirotto Paterni e i cui resti vennero alla luce appunto nell’agosto del ’72. All’epoca vennero effettuati cinque sondaggi, nell’area di proprietà comunale prospiciente l’allora officina Bevati (che si apriva su via Ca’ Pirota) sia nell’area adiacente all’incrocio e a via Palazzina, sia infine all’interno nel giardino del Palazzo delle Esposizioni. Di questi scavi vi sono piante e foto negli archivi del Mic e sono stati anche pubblicati nel 2009 da Silvano Fabbri nel libro ‘Ritrovamenti archeologici dal 1968 al 1973’.
"I frammenti di boccali rinvenuti – ricorda Cicognani – vennero studiati da Liverani che scoprì anche una variante della firma di quella bottega, rappresentata da un cerchio tagliato da una croce in blu. Nel ’74 quei frammenti, assieme a tutti quelli rinvenuti a Faenza negli ultimi decenni, vennero esposti in una mostra all’ultimo piano del Mic, che rimase allestita per vari anni, fino a ché il museo non venne ristrutturato". Una volta ultimati i sondaggi e recuperati i frammenti, i resti dell’antica fabbrica vennero riseppelliti perché, come si diceva, giudicati di nessun rilievo storico. Si trattava in sostanza di una buca con cenere e tanti frammenti di boccali e, un metro sotto il livello stradale, del "focolare della fornace di due metri per 2,20 con due archi crollati e due intatti. Il piano del focolare è selciato in mattoni normali. Gli archi del focolare sono intaccati dal fuoco, nello sterro l’arco di fondo è crollato data la poca consistenza della calce che legava i mattoni" si legge negli appunti redatti al momento degli scavi dallo stesso Silvano Fabbri che pure era dipendente del Museo. Carlo Raggi