REDAZIONE RAVENNA

Quindici anni fa l’addio a don Fuschini

Il ricordo del parroco scrittore è ancora vivo nella ’sua’ Porto Fuori ma, grazie alla prosa inconfondibile, anche oltre i confini locali

A quindici anni dalla morte, avvenuta all’età di 92 anni il 27 dicembre 2006, il ricordo di don Francesco Fuschini è ancora vivo e la sua penna continua a suscitare l’interesse della critica che ha sempre considerato il “pretino di Porto Fuori” uno straordinario caso letterario. Schivo e non certo promotore della sua immagine, don Fuschini sarebbe stato chiuso entro i confini della sua Romagna se Walter Della Monica, con la complicità dell’editore Mario Lapucci, non lo avesse fatto conoscere a un pubblico più vasto con “L’ultimo anarchico”, la raccolta dei suoi elzeviri apparsi nella “terza” del “Carlino” pubblicata dal Girasole nel 1980.

Quella prosa inconfondibile che mescolava sapientemente la farina fine della “Crusca” con la pula “poveretta” del dialetto non passò inosservata così come suscitarono curiosità le sue alchimie lessicali fatte di neologismi che affondavano le loro radici nella soda terra romagnola. Giuseppe Prezzolini dopo aver letto “L’ultimo anarchico” scrisse che don Fuschini “nel clima letterario è più che un miracolo, è una apparizione” e non esitò a definirlo “il più grande scrittore cattolico vivente”.

E proprio in questi giorni, a conferma che don Fuschini tiene ancora banco, è uscito sulla rivista “Studi e problemi di critica testuale” diretta da Alfredo Cottignoli il corposo saggio “Un cattolico scrittore di Romagna: don Francesco Fuschini” di Alessandro Ferioli, un lavoro accuratissimo che va ad arricchire la nutrita bibliografia dedicata al sacerdote scrittore. Nella sua Porto Fuori, dove fu parroco dal 1946 al 1982, il tratto di via Stradone fra la Rotonda della Solidarietà e la via Argine sinistro Fiumi Uniti è stato recentemente intitolato a don Fuschini e una targa in sua memoria è murata sotto il portico della chiesa, la “casa di Nostra Donna in sul lito Adriano” ricordata da Dante. Sulla sua scrivania, accanto al “Vangelo”, trovavano posto i “Sonetti romagnoli” di Olindo Guerrini, un libretto che considerò sempre una sorta di vangelo laico della Romagna.

La penna e l’aspersorio sono stati i ferri del suo mestiere. Il fiume, le valli di Comacchio e gli anarchici la sua musa ispiratrice. “Tacadez”, uno dei suoi nonni, aveva raccomandato alla mamma del piccolo Francesco di mettergli nelle mani un mestiere onesto. Gli andava bene tutto, con la sola eccezione del prete o dell’uomo di penna. E invece andò a finire che da quel ragazzino che amava trascorrere i giorni fra le folaghe e le anguille uscì un prete scrittore. Dite voi se questo non è uno “scherzo da prete” del destino! Franco Gàbici