ANDREA COLOMBARI
Cronaca

"Rapine a disabile", tutto falso per i giudici

I fatti risalgono all’estate scorsa ad Alfonsine. Imputato assolto e atti trasmessi alla procura per valutare la calunnia nei suoi confronti

Il disabile si era rivolto ai carabinieri solo dopo l’ultimo episodio

Il disabile si era rivolto ai carabinieri solo dopo l’ultimo episodio

L’accusa gli attribuiva ben sei episodi tra rapine e furti, tutti commessi in una manciata di giorni a cavallo tra fine giugno e inizio luglio dell’anno scorso ad Alfonsine ai danni di un disabile come lui di origine marocchina. Uguale a richiesta di condanna, formulata al termine del rito abbreviato, pari a quattro anni e mezzo di reclusione.

Ma il collegio penale del tribunale di Ravenna presieduto dal giudice Cecilia Calandra, nella tarda mattinata di ieri ha riscritto la vicenda, come chiedeva la difesa dell’imputato - il 30enne Moundir Elbaza, tutelato dall’avvocato Luigi Filippo Gualtieri - non solo pronunciando un’assoluzione secca "perché il fatto non sussiste". Ma disponendo pure la trasmissione atti per valutare la falsa testimonianza nei confronti del disabile. Elbaza, senza fissa dimora e con precedenti di polizia per rapina, furto e stupefacenti tanto che su di lui gravava già la misura di prevenzione dell’avviso orale del questore a cambiare condotta di vita, si trova ora in carcere ma per altra causa. Per questo procedimento, s’era fatto circa una settimana in cella: perché non aveva rispettato la misura cautelare scattata dopo la convalida dell’arresto: ovvero, oltre al divieto di avvicinamento, l’obbligo di andare in caserma a firmare.

Secondo il racconto del disabile, in quei giorni era stato perseguitato per le strade alfonsinesi dal connazionale senza però mai rivolgersi ai carabinieri. L’altro gli aveva a suo dire preso un po’ di danaro, la carta d’identità, un orologio e un braccialetto d’argento. In caserma ci era andato dopo l’ultimo episodio: una rapina di 10 euro. Dalla denuncia, i militari della locale Stazione ci avevano messo poco a individuare e arrestare il sospettato. Il 30enne, in occasione dell’udienza di convalida, aveva negato tutto sostenendo che in realtà la denuncia a suo avviso era stata fatta con scopi ritorsivi: e cioè per punire lui e i suoi amici perché, su richiesta del padre, avevano smesso di aiutare economicamente quel ragazzo in quanto i soldi che riceveva, li spendeva, a suo dire, tutti in alcolici.

La difesa è partita proprio da questa dichiarazione resa al buio: cioè ancora prima che il padre del giovane presumibilmente rapinato, dichiarasse di essere andato al bar per chiedere che smettessero di dare da bere al figlio. Per il legale, dichiarazioni pressoché sovrapponibili al netto di difficoltà linguistiche. Inoltre era stata la stessa difesa a chiedere che venissero acquisiti i filmati delle telecamere di videosorveglianza dai quali era in buona sostanza emerso che per l’episodio principale, quello collocato il 4 luglio, in realtà i due non si sarebbero incontrati: ovvero l’imputato verso le 14.15 era entrato alla coop con due amici; poi alle 14.20 era andato nel parco per non uscirne fino alle 15: e mai, né prima né dopo, si era visto con il ragazzo che aveva lamentato la rapina. A cascata, il difensore ha posto un problema di credibilità generale della parte offesa risolto dai giudici con una richiesta di vaglio proprio su chi aveva raccontato di essere stato rapinato.

a.col.