Terapie intensive Covid, l'infermiere: "Attualmente il 95% dei ricoverati è no vax"

L’infermiere Andrea Giannatempo: "Si tratta di persone con un’età che varia fra i 45 e i 70 anni. Ricordo il caso di una donna sui 50 anni, era dispiaciuta e alla fine ci ha ringraziato"

Andrea Giannatempo, 36 anni, infermiere in Terapia intensiva

Andrea Giannatempo, 36 anni, infermiere in Terapia intensiva

Ravenna, 23 gennaio 2022 - Sono passati quasi due anni dalla prima notte in ospedale ad affrontare il Covid, un nemico che da sconosciuto è diventato purtroppo famigliare. Andrea Giannatempo, 36 anni, infermiere in Terapia intensiva, ha visto le cose evolversi nel reparto in cui la lotta contro la malattia vive le sue fasi più difficili.

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Tampone fai da te: l’autotest funziona. In tre giorni arrivano certificato e Green pass - Quarantena e isolamento Covid in Emilia Romagna, le nuove regole con i tamponi rapidi Giannatempo, da quanto tempo lavora in Terapia intensiva? "Ho iniziato circa un anno prima della pandemia. Ho visto il prima e il dopo, ma soprattutto il dopo". Impegnativo? "Molto. All’inizio ci siamo dovuti adattare a un modo tutto nuovo di lavorare. Ora ci abbiamo preso la mano, ma non è mai facile". È dura anche dal punto di vista psicologico? "Sì. Ci accorgiamo che tanti di quei pazienti non hanno possibilità di ripresa, o se si riprendono li vediamo andare via con grossi deficit dal punto di vista respiratorio. Spesso arrivano persone critiche che hanno bisogno della ventilazione non invasiva, e nonostante gli sforzi per evitare loro l’intubazione li vediamo progressivamente peggiorare. Quando li intubiamo sappiamo che da lì il percorso sarà lunghissimo: 15/20 giorni, quando la media dopo un trauma è 7". Quali conseguenze ci sono? "Tutta la muscolatura, che viene sostituita dalla macchina, perde la sua funzione e questo crea deficit che durano mesi".

Ora le persone in Terapia intensiva sono soprattutto no vax? "In quest’ultima ondata sono il 95/98%, anche giovani. Persone tra i 45 e i 70 anni, le poche vaccinate hanno fatto la seconda dose molti mesi prima, sono in terapia immunosoppressiva per altre patologie o comunque in una situazione fisica delicata". Ricevete dimostrazioni di gratitudine? "Sì, è successo. Rico rdo una donna non vaccinata tra i 45 e i 50 anni circa. Era dispiaciuta e ci ha ringraziato. Noi del resto evitiamo le discussioni sui vaccini, ci preoccupiamo della loro salute e basta. Si risvegliano dopo giorni e giorni intubati, dici loro la data ed è un momento traumatico". Ora è tutto molto cambiato rispetto a due anni fa. Cosa ricorda di quel periodo? "Sono stato il primo infermiere a intervenire su una paziente Covid, prima ancora che si sapesse che aveva il Covid. Il giorno precedente avevamo accolto il primo paziente da Piacenza e la notte successiva ci chiamarono per un’emergenza in Medicina per una paziente con insufficienza respiratoria. Per fortuna con me c’era un medico bravissimo che intuì cosa potesse essere, e quindi andammo con tutti i dispositivi. E difatti la donna era positiva". Ricordo il caso di quella paziente, che purtroppo nei giorni successivi morì. "Purtroppo è così. Era una donna di circa 65 anni e aveva avuto una progressione di malattia pressoché fulminea. Era completamente autonoma e all’improvviso la trovarono per terra che faticava a respirare". Per voi operatori il timore sarà stato anche quello di contagiare i famigliari. Una paura costante? "È sempre stata la paura più grande, anche nei confronti dei colleghi". Oggi come vive la pandemia a distanza di due anni? "Non più con l’idea di ‘sconfiggerla e vederla sparire’, ma con la speranza che vada a smorzarsi in una banale influenza. A volte mi chiedono: ‘Ma quel 50enne che è morto di Covid aveva delle patologie?’ e io rispondo che nessuna influenza ha mai ucciso un 50enne iperteso".