Violenza sessuale Cervia, il prof accusato: "Vendetta delle mie ex allieve"

In aula la versione del professore dell’alberghiero accusato di molestie da alcune ex studentesse: "Tutto per i cellulari requisiti"

Studenti (foto di repertorio)

Studenti (foto di repertorio)

Ravenna, 16 febbraio 2022 - Una trappola. Probabilmente una vendetta pianificata da alcune studentesse in ragione di voti bassi, interrogazioni non concordate e cellulari requisiti durante le ore di lezione, con tre "cape" che bullizzavano le compagne fino a convincerne alcune – magari con la prospettiva di guadagnare denaro nell’ipotesi di una causa –, che quel professore, fin lì integerrimo, ormai prossimo alla pensione, si fosse trasformato in un molestatore e le avesse palpeggiate col pretesto di esercizi empirici in classe e in laboratorio sul calcolo del peso. È questa, in buona sostanza, la linea difensiva emersa ieri dal processo che vede imputato per violenza sessuale aggravata un ex docente dell’istituto alberghiero di Cervia, accusato da nove alunne e finito agli arresti domiciliari l’8 giugno 2019, per fatti risalenti all’anno prima, sulla base delle indagini della squadra mobile coordinate dal pm Angela Scorza.

Alberghiero Cervia molestie, "Il prof ci massaggiava e ci toccava il seno" - Cervia, studentesse molestate. Il professore a processo - "Molestie a studentesse", professore di Cervia ai domiciliari  La sentenza è fissata a una data evocativa: l’8 marzo. Intanto ieri il professore – difeso dagli avvocati Maurizio Taroni e Claudio Cicognani – ha respinto ogni accusa, ricordando come l’atteggiamento di alcune sue ex studentesse fosse cambiato dopo una serie di screzi su verifiche e interrogazioni. Ha negato di averle palpeggiate durante le prove di calcolo del peso ideale – pertinenti alla sua materia – dicendo che la principale tra le accusatrici neppure si trovava nel laboratorio dove si svolse l’esercizio e citando un messaggio whatsapp nel quale la stessa, rispondendo ai dubbi di un compagno sollecitato a testimoniare sebbene non fosse presente, lo insulta scrivendogli “tanto a te non ti credono“. Secondo il docente le denunce sono partite da "tre ’cape’, che andavano in giro a sentire se ’toccassi’ anche nelle altre classi". Le stesse avrebbero poi "bullizzato alcune compagne, al punto che queste volevano cambiare sezione". Ancora, attribuisce un ruolo in questa vendetta ai suoi danni a una forma di singolare punizione adottata: "Notai un uso spasmodico dei telefoni durante le lezioni, in quella classe c’era molto lassismo, così cominciai a ritirali. In trent’anni di insegnamento non ho mai fatto sospendere nessuno o messo note, cercai di risolvere la questione reintroducendo le flessioni, sebbene il preside mi avesse detto di non farlo più. Ma – si rammarica – non ho risolto nulla...". Alcuni palpeggiamenti si sarebbero verificati proprio nel contesto delle flessioni. "Stuprare e violentare sono parole che non appartengono alla mia vita". La difesa ha portato in aula, come consulente, una psicologa che ha spiegato come talvolta, di fronte a presunte ingiustizie, un gruppo trainante, non necessariamente in malafede, può contagiare altri a fare fronte comune. In aula, davanti al tribunale collegiale – presidente Cecilia Calandra, a latere i giudici Federica Lipovscek e Cristiano Coiro – sono stati sentiti docenti, ex alunne ed ex alunni. Tutti hanno tratteggiato un comportamento integerrimo del professore: mai una voce sul suo conto, mai visto allungare le mani. "Le flessioni? Erano apprezzate da tutti e gli altri professori gli invidiavano questo metodo". Mai, insomma, atteggiamenti inopportuni. E questo anche nei riguardi delle allieve dei suoi corsi di arti marziali, la sua seconda attività di insegnamento. Una docente ha riferito che nell’aprile 2021, parlando con le rappresentanti di classe, le furono ridimensionate le accuse per le quali ora il collega si trova nei guai. Apprese inoltre, per risolvere un’altra questione delicata che aveva messo in subbuglio una classe – il rapporto sentimentale tra un supplente e un’allieva – che "durante l’assemblea d’istituto fu prospettato un guadagno nel fare denuncia, come rimborso danni". Vicenda scollegata, ma che nell’ottica difensiva avrebbe rappresentato una prassi consolidata in quella scuola: denunciare per soldi.