
La presidente della Bagnolese, Elena Sberveglieri, 47 anni, madre di due figli
Reggio Emilia, 28 gennaio 2025 – Continuano gli episodi, sui campi di calcio, di insulti a sfondo razziale, o sessista. In ogni categoria e pure nel calcio a 5. Dove però la presa di posizione di una presidente donna di una società di serie B, fa discutere.
I fatti: sabato scorso, al termine del match tra i toscani della Mattagnanese e gli emiliani della Bagnolese, team di Bagnolo in Piano, un atleta dei toscani, Mattias Gningue, ha accusato un giocatore avversario di averlo offeso per tutta la gara con epiteti a sfondo razziale.
Nel merito la presidente della Bagnolese, Elena Sberveglieri, 47 anni, madre di due figli che lavorano con lei in società, aveva chiarito che dagli audio del match non si percepivano questi insulti, ma che lei stessa era stata oggetto, durante e dopo la sfida di “offese” ma anche “di essere stata minacciata e aggredita”. Nelle sue dichiarazioni post gara al Carlino però la stessa ha messo sul tavolo un ulteriore tema: “Offendere è sbagliato a prescindere, ma quale è l’insulto più grave: negro, terrone o tr… come è stato rivolto a me?”
Ecco, lo chiediamo a lei Elena Sberveglieri. C’è una graduatoria nell’insulto?
“No, le offese sono gravi a prescindere; perché fanno male a chi le riceve. Gli insulti vengono rivolti da giocatore a giocatore, da tifoso a giocatore, tra dirigenti e giocatori, o perfino tra presidenti”.
Non è piacevole…
“Per nulla. Mi è capitato con un collega presidente che mi ha preso a male parole un paio di volte. Poi, venuto a Bagnolo, si è scusato. Però io gli ho detto col sorriso sulle labbra: oggi non ti arrabbiare, mi raccomando”.
Le è capitato di ricevere offese sessiste, o di sentirle rivolte a donne arbitro, tifose?
“Mi sono presa della tr…, e ho sentito lo stesso insulto o altri simili rivolti alle arbitre ma credo che, nella maggioranza dei casi sia ormai soprattutto questione di superficialità: offese fatte con leggerezza senza pensare al male che subisce chi le riceve”.
Il maschilismo e qualche retaggio di cultura patriarcale nel calcio sono fenomeni residuali allora?
“Ci sono ancora delle situazioni nelle quali emerge la volontà di esercitare un potere sulla donna. Lo si capisce maggiormente da certi atteggiamenti del pubblico, o dei giocatori in panchina: sorrisini, ammiccamenti, cose così”.
È successo anche a lei?
“No, io faccio parte di quelle presidenti donna trattate in modo paritario, ma in generale ritengo che qualche pregiudizio ci sia ancora”.
Come è riuscita a conquistare la fiducia dei suoi ragazzi?
“Avere iniziato a lavorare in società come massaggiatrice è stato importante. Mettere le mani sui loro muscoli, che per un atleta sono una componente fondamentale, è stato importante per conoscersi bene e rispettarci a vicenda. Mi sento molto rispettata anche nel ruolo di presidente, nonostante i normali battibecchi che ci possono essere nell’arco di una stagione”.
Perché ha accettato di diventarlo?
“Per mettermi in gioco fuori dalla mia comfort zone, per trovare nuove sfide. Lo sono dal maggio scorso, subentrata a un’altra donna, Lisa Bertozzi, e con a fianco una vicepresidente: Greta Reverberi”.
Alla Bagnolese ci vogliono le quote azzurre, altro che rosa...
“Beh, abbiamo anche un vicepresidente uomo, ma è vero che la componente femminile è forte: c’è Giulia che si occupa dei video e delle riprese, Sara che è la nostra addetta stampa, Valentina, mia figlia, che mi aiuta con le pratiche amministrative. In tutto nello staff siamo in 6”.
Un’eccezione nello sport del pallone…
“Confrontandomi con dirigenti maschi di altre squadre salta fuori che la donna, nel calcio, porta punti di vista differenti, è più riflessiva in determinate situazioni. E poi ci divertiamo parecchio. Lavorando anche per il sociale: la nostra società infatti è Ambassador dell’associazione Al tuo Fianco, per sensibilizzare il mondo dello sport sulle malattie oncologiche”.