ALESSANDRA NANNI
Cronaca

Coconuts Rimini, gestori assolti dall'accusa di spaccio di droga

Lucio Paesani: "Un calvario durato quattro anni"

Lucio Paesani, il patron del Coconuts (Foto Migliorini)

Rimini, 3 aprile 2019 - «Il fatto non sussiste». Si è chiuso con un’assoluzione, il processo che vedeva alla sbarra Fabio e Lucio Paesani, epilogo del blitz del 9 giugno del 2015 quando la Polizia fece irruzione al Coconuts, facendo scattare 28 misure cautelari. Secondo gli investigatori, il locale vedeva passare fiumi di cocaina. Fabio Paesani finì agli arresti domiciliari per spaccio e agevolazione, Lucio venne indagato solo per il secondo reato, avere cioè consentito e tollerato la vendita di droga nella discoteca. Quella che gli inquirenti battezzarono ‘Operazione Titano’ (la cocaina veniva veniva da San Marino via Olanda), vide anche la chiusura del Coconuts per un mese, poi ridotti a 15 dal Tar. Ieri, i due fratelli Paesani sono stati assolti: il pubblico ministero aveva chiesto 6 anni per Fabio e 4 per Lucio. Due spacciatori sono stati condannati a tre anni e un anno e 10 mesi di carcere, il resto degli imputati è stato invece rinviato a giudizio. Lucio Paesani non ha mai parlato, ma adesso si toglie qualche sassolino dalle scarpe. 

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E’ finita?

«Sì, è finita, ma sono stato molto male. Soprattutto perchè ho passato quattro anni di calvario, a spiegare a due figli e a consolare una moglie. E ora mi chiedo se il mondo che vogliamo è quello che processa la gente online. Sono stato zitto per quattro anni, ma solo per il grande rispetto che ho per le istituzioni. E la giustizia è una di queste, quella che regola la nostra vita».

Cosa intende?

«Un processo non può consumarsi su internet. La mattina del 9 gennaio (giorno del blitz della Polizia al Coconuts, ndr) venni chiamato dalla Carim, non da un funzionario ma da un cassiere. Mi disse che non avevo più carte di credito nè fido. La Squadra mobile aveva fatto irruzione alle cinque: prima ancora che la notizia venisse stampata, la mia banca mi aveva già revocato tutto».

Perchè è successo proprio al suo locale?

«E lo chiedete a me? Io non ho mai spacciato droga nè favorito lo spaccio, ma faccio un lavoro che è a contatto con il mondo della notte. E allora dobbiamo decidere cosa vogliamo fare».

Si spieghi...

«Per legge sono responsabile a livello oggettivo di quello che succede nel locale, una norma che risale al periodo fascista, quando una discoteca aveva al massimo 50 clienti. Io ne ho una con 3mila persone, e non è possibile controllarne 3mila. Se ho il sospetto che un cliente spacci o faccia uso di droga e lo perquisisco, mi becco una denuncia per violenza privata. Il fatto è che sono regole irrispettabili».

Cosa propone?

«Vogliamo cambiare questo articolo 100? Vogliamo introdurre il Daspo nei locali? E’ impensabile dare responsabilità senza fornire gli strumenti per gestire questa responsabilità».

Ha cambiato qualcosa?

«No. Ma devo ringraziare l’ex questore, Maurizio Improta. Mi ha dato una grossa sberla, ma mi ha insegnato a dialogare con la questura e a come operare: chiamare loro. Ma la cosa incredibile è un’altra».

Quale?

«Che nella stessa settimana sono stato assolto da un’accusa di favoreggiamento e devo presentarmi in tribunale come parte lesa contro un gruppo di spacciatori albanesi che io avevo fatto arrestare...»

Come si sente?

«Frastornato, ma non felice come avevo creduto. Criminalizzare una persona ancora prima che abbia preso coscienza di quello che gli sta succedendo è un modo per indurla al suicidio».