LUCA BERTACCINI
Cronaca

Forlì, liceale suicida, "Rosita voleva abiti firmati". Polemica sulle parole del medico

Il testimone della difesa ripreso dal giudice: "Così offende la memoria"

L'avvocato difensore Marco Martines

Forlì, 14 luglio 2017 - Nell'udienza di giovedì in Corte d'Assise sul banco dei testimoni è salito il medico di base di Rosita Raffoni, la 16enne suicida nel giugno 2014. A chiamarlo è stata la difesa (i genitori sono accusati di maltrattamenti, il padre anche di istigazione al suicidio): il medico ha negato «disattenzioni» nei confronti della figlia da parte dei genitori, raccontando che la ragazza ha sofferto di una disfunzione ormonale (curata), che le avrebbe provocato un cambiamento comportamentale. «Una patologia comune a tante adolescenti, la cui conseguenza più grave, se non curata adeguatamente, può essere l’insorgere del diabete», ha spiegato. Stando al dottore, Rosita soffriva il fatto «di vivere diversamente dalle altre. Non aveva abiti lussuosi, firmati. L’idea che mi sono fatto di Rosita è che fosse molto ambiziosa economicamente».

Frasi che non sono piaciute al presidente della Corte d’Assise, Giovanni Trerè (a latere Roberta Dioguardi, oltre a sei giudici popolari). «Al di là di come si concluderà questo processo, sono parole che offendono un po’ la memoria di questa ragazzina – ha detto il giudice –. Ci fa un quadro diverso da quello che di Rosita ci hanno fatto altre persone. Sono dichiarazioni che lasciano quasi sgomenti». Il medico di base è andato oltre. Premettendo di non essere uno psicologo, ha ipotizzato che la ragazzina abbia potuto attraversare «uno stato depressivo borderline» e che abbia potuto essere affetta da «psicosi».

Trerè, una volta terminata la testimonianza, è stato lapidario. «Valuteremo se rivolgerci agli organi amministrativi che sovraintendono la professione medica. Magari la prossima volta ognuno discuterà per quelle che sono le sue competenze». La prossima udienza è prevista mercoledì prossimo.