REDAZIONE ANCONA

"Una generazione fragile, va fortificata"

La psicologa Gloria Trapanese: "Provo rabbia e fallimento, gli adulti devono cogliere i segnali"

La psicologa anconetana Gloria Trapanese commenta la vicenda del ragazzo di Senigallia

La psicologa anconetana Gloria Trapanese commenta la vicenda del ragazzo di Senigallia

Tragedia di Senigallia, la psicologa Gloria Trapanese: "Di bullismo si deve parlare sempre, non solo in questi casi". È una vicenda dai contorni ancora poco chiari quella che ha portato al suicidio di Leonardo, il ragazzino 15enne di Montignano che si è tolto la vita sparandosi un colpo di pistola con l’arma di ordinanza del padre (un agente di polizia locale). Dottoressa Trapanese, cosa prova nel leggere questa storia?

"Un sentimento di rabbia e una sensazione di fallimento. Rabbia perché ancora una volta ci troviamo di fronte a un’emergenza che ahinoi non siamo riusciti ad arginare. E fallimento perché purtroppo ancora non ci sono contesti attraverso cui i ragazzi possano sentirsi protetti e accolti. Chi, come me, lavora coi giovani spesso sa che un 15enne bullizzato può ricorrere al suicidio. Ma l’adulto questo aspetto tende a sottovalutarlo. Bisogna fare attenzione ai segnali".

E sui commenti da bar?

"Quando sento dire ´il bullismo c’è sempre stato´, o ´noi a 15 anni ci picchiavamo sotto scuola´, mi sale ancora più rabbia. Perché ancora una volta non viene validata la sofferenza e l’emergenza che questo fenomeno evidenzia".

Siamo fragili?

"È evidente che siamo di fronte a una generazione fragile, che va fortificata. Incolpare la famiglia significa operare una vittimizzazione secondaria. I commenti giudicanti non servono, i ragazzi non sono facili da comprendere. Dobbiamo responsabilizzarci tutti, come mondo adulto e come società. Serve far capire ai giovani che chiedere aiuto, esprimere le proprie fragilità non è sintomo di debolezza. Gli adulti in primis sono scettici quando un ragazzo chiede di andare dallo psicologo. Alcuni pensano ancora che sia una figura per matti e malati. C’è tanta reticenza".

E perché?

"Perché si ha paura di poter essere etichettati come famiglia. Invece, bisogna lavorare dalle basi, costruire progetti di prevenzione primaria sin dalla scuola dell’infanzia. Iniziative che possano far comprendere ai bimbi l’accoglienza dei propri disagi, dolori ed emotività. I ragazzi devono arrivare alle Superiori con un bagaglio adeguato per empatizzare con l’altro, gestire debolezze e stati emotivi. Gli sportelli d’ascolto arrivano dopo".

Cosa pensa dei bulli?

"Sono fragili anche loro. Dietro c’è il bisogno di visibilità, di essere gratificati, la voglia di attenzione da parte degli altri, di potere, di dominio. Segnali che nascono da un vissuto, da difficoltà".

Nicolò Moricci