Bologna, 5 settembre 2023 – "Lo scorso anno sono usciti 270 infermieri, mentre nel 2021 erano stati 180, abbiamo anche avuto un picco di persone che hanno raggiunto la pensione”. L’allarme sulla fuga degli infermieri dagli ospedali pubblici del Bolognese, lanciata da tempo dai sindacati, è stata confermata da Paolo Bordon, direttore generale dell’Azienda Usl. Il numero uno di via Castiglione sta studiando strategie per reperire il personale, sempre più scarso sul mercato: “Ho inviato i nostri dirigenti sanitari nelle scuole superiori dell’Appennino per parlare con gli studenti, ma i risultati non sono incoraggianti. Assistiamo a una crisi di vocazione dei giovani, manca l’appeal a livello sociale”. E una delle ragioni principali sono gli stipendi, troppo bassi per vivere in una città costosa come Bologna.
Come conferma anche Daniele Lanzoni, 30 anni, infermiere al Bellaria, dirigente sindacale Nursing Up e Rsu Ausl Bologna: “Tanti colleghi sono arrivati dal Sud quando le assunzioni erano bloccate, ora sono ripartite e molti si licenziano e tornano a casa perché qui, a Bologna, il costo della vita è troppo alto per gli stipendi che vengono dati. Lanzoni precisa quelli che sono gli stipendi degli infermieri: "Per un ’diurno’ cioè un collega che non fa le notti, la paga netta mensile è di circa 1.600 euro, per chi fa le notti e i festivi si va dai 1.700 ai 1.800 euro. Arrivare a 1.900 è un ’miracolo’ che al massimo si verifica una volta all’anno. Se consideriamo che un affitto, mediamente, va dai 600 ai 700 euro, andando per sottrazione si vede quanto resta. A questo bisognerà pur aggiungere il costo della spesa per mangiare, le bollette. Se la persona è sola – prosegue – non ce la fa. Infatti ci sono colleghi che al venti del mese mi dicono che hanno già finito i soldi. E’ comprensibile che chi può se ne va dalla sanità pubblica, con le gravi carenze di organico che si stanno verificando. Senza contare che in Emilia Romagna è stato inserito un vincolo di cinque anni, quindi una volta qui non si possono effettuare cambi e non c’è mobilità. Così si arriva alle dimissioni di tanti che cercano soluzioni nel privato oppure tornato al Sud dove la vita costa meno”.
Da Bologna alla Puglia, lasciando non solo la città ma anche la sanità pubblica per quella privata.
Un cambio piuttosto radicale. Quali sono le ragioni?
"In realtà, in un primo momento, quando ho lasciato l’ospedale di Loiano non pensavo di tornare nella mia regione. Volevo solo fare la mia professione di infermiere in modo diverso", racconta Massimo Bentivoglio, 50 anni che, fino alla scorsa primavera, ha lavorato all’ospedale di Loiano.
Può spiegare meglio?
"Volevo migliorare le mie condizioni lavorative, ma anche vedere valorizzata una figura professionale che non lo è. Quello che sottolineo non riguarda solamente me: sono stato a lungo nel sindacato, ho ascoltato tanti colleghi: le condizioni nel pubblico sono sempre peggiori, gli stipendi non vengono rivisti, il lavoro è sempre di più e, in compenso, il costo della vita è diventato quasi insostenibile in città come Bologna, ma anche come Milano, perché il problema è ovunque".
Lei quando è arrivato a Bologna?
"Molti anni fa: prima ero un oss (operatore socio sanitario), poi mi sono iscritto all’Università di Bologna e mi sono laureato. Nel 2012 ho fatto il concorso, ho vinto e sono andato all’ospedale di Imola, poi sono stato a Forlì e infine sono arrivato a Bologna, ma per lavorare nell’Ausl bolognese c’è stato bisogno di un altro concorso. Anche quello è andato bene, ma qui è stato inserito il vincolo dei cinque anni: bisogna restare nell’ambito dell’Azienda Usl bolognese e non ci può spostare. Anche questo ha inciso nella mia decisione di lasciare il pubblico".
L’aspetto economico quanto ha influito?
"Sicuramente ha avuto il suo peso perché fra tutte le categorie sanitarie quella dell’infermiere è quella che ha avuto un grosso aumento delle mansioni da svolgere, dal lavoro in reparto ai laboratori, ma senza vedere un adeguamento delle condizioni economiche. Anche questo mi ha fatto decidere di scegliere il privato. Poi sono tornato a casa, dai miei genitori che, nel frattempo, erano diventati anziani. Ma quello che voglio dire è che fuori dagli ospedali c’è un mondo".
In che senso?
"Ora lavoro per un poliambulatorio medico e c’è tantissimo da fare, come del resto succede a Bologna: la sanità pubblica è in difficoltà ad esempio in certi esami diagnostici, come la tac, e le persone che hanno bisogno non possono aspettare mesi, quindi si rivolgono al privato".
Posso chiederle che differenza di stipendio c’è tra un infermiere che lavora nella sanità pubblica e uno che ha scelto quella privata?
"Nel pubblico siamo sui 1.500 euro al mese, nel privato, parlo della mia esperienza personale, si va da un minimo di 21,5 euro all’ora fino ai 24. Consideri che sono io che decido quante ore lavorare. Naturalmente è chiaro che chi sceglie la libera professione, quindi a partita Iva, lavora un certo numero di ore mensili, in modo da adempiere a tutti gli obblighi fiscali e previdenziali. Ma è anche questa libertà che apprezzo molto. Nel pubblico è tutto troppo bloccato e ingessato".
Molti dicono che il Covid anziché migliorare la situazione l’ha peggiorata. Cosa ne pensa?
"La pandemia ha messo in evidenza tutte le problematicità della sanità pubblica. A Bologna molti ospedali sembravano andassero molto bene, ma quando sono andati a fare i conti non era così. Questo perché molti pazienti arrivavano da altre regioni e queste hanno tardato a saldare i conti. Il risultato è stato, per gli infermieri, che gli straordinari non venivano più pagati".