Mercatone Uno fallimento, la rabbia dei dipendenti a Bologna

Mini presidio al Centro Navile: "Abbiamo dato l’anima per questa azienda"

I dipendenti della Mercatone Uno sperano

I dipendenti della Mercatone Uno sperano

Bologna, 26 maggio 2019 - Il tribunale di Milano ha dichiarato fallita la Shernon Holding Srl, che solo ad agosto 2018 aveva acquisito i 55 punti vendita di Mercatone Uno: il marchio, fondato nel 1978 a Dozza da Romano Cenni e un tempo sponsor della squadra di ciclismo resa grande da Marco Pantani, era in amministrazione straordinaria dal 2015 dopo l’iniziale richiesta di concordato preventivo.

Anche Shernon Holding, poche settimane fa, aveva chiesto di passare per il concordato preventivo: ma il tribunale, su richiesta dei creditori, ha dichiarato inammissibile la domanda certificando il fallimento. Il curatore Marco Angelo Russo parla di un “indebitamento complessivo, maturato in soli nove mesi di attività, per oltre 90 milioni di euro”. A tremare, con le oltre 500 aziende fornitrici della Mercatone Uno che vantano crediti non riscossi per 250 milioni, sono circa 1.800 lavoratori sparsi in tutta Italia (ma non quelli del punto di vendita di Toscanella di Dozza, escluso dalla procedura). Nell’area metropolitana di Bologna, rischiano oltre 200. E molti di loro l’hanno scoperto venendo al lavoro, trovandosi la saracinesca dei negozi chiusa.

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Loredana si asciuga le lacrime. Appeso al collo, dondola il tesserino aziendale. Come tutte le mattine, è arrivata al Mercatone Uno del Centro Navile poco prima dell’apertura. “Ero in divisa, pronta per il lavoro”, racconta. Di fronte alle saracinesche chiuse “sono scoppiata a piangere”. Non sapeva del tam tam social su Facebook e Whatsapp, dove la notte era rimbalzata la notizia del fallimento. Era all’oscuro di tutto anche il ragazzo del bar interno al punto vendita, che si è presentato di buon’ora con i cartoni carichi di brioches. Loredana Manganiello lavora qui da 15 anni, ufficio clienti. Guarda le colleghe che – riunite in un improvvisato presidio, le sedie di plastica prese in prestito da un bar – cercano di farsi coraggio a vicenda. “Abbiamo tutti dato l’anima per questa azienda, ognuuno a modo suo”, commenta. “Questa vergogna si poteva evitare, con più chiarezza e più onestà”.

Elena Cefola, settore mobili, non si dà pace. “C’è tanta rabbia, tanta delusione”. Rivive, come tutti, un film già visto pochi anni fa: contratti di solidarietà, cassa integrazione, amministrazione straordinaria, crediti dalla vecchia proprietà che chissà se e quando saranno mai onorati.

Poco meno di un anno fa, l’arrivo della Shernon Holding. “Ci avevamo creduto tutti”, sospira Elena. Col tempo, “abbiamo notato qualche difficoltà, dei ritardi sugli ordini, ma mai avremmo pensato di finire così”.

Dalla proprietà, nessun segnale. Anzi. “Ci mandavano video con nuovi assortimenti, nuovi fornitori... E adesso non riusciamo neppure a entrare a prendere le nostre cose dagli armadietti”.

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Arrivano i primi clienti. C’è chi vuole ritirare la merce ordinata, e sventola la ricevuta con l’acconto già pagato. Non ci vuole molto a spiegare: le saracinesche serrate e le espressioni scure dei dipendenti parlano chiaro. Qualcuno non la prende benissimo. Ma, in generale, nessuno protesta.

Valentina Bevacqua, di solito alle casse, è “arrabbiatissima”. Lavora alla Mecatone Uno da 19 anni, prima a San Giorgio di Piano, poi al Navile. “Ci siamo sentiti abbandonati”, commenta. “Eravamo in allerta, abbiamo chiesto, ma nessuno ci ha risposto, nessuno ha spiegato”.

Se si fosse intuita la gravità della situazione “avremmo potuto guardarci intorno, cercare un’alternativa per tempo”. Invece, afferma, “continuavano a dirci di attendere, avere pazienza. E ora, all’improvviso, dobbiamo inventarci un altro lavoro. Poco male per chi deve pensare solo a se stesso, ma chi ha famiglia...”. A questo punto la speranza, afferma Alberto Dellomonaco – anche lui dipendente del punto vendita al Centro Navile, e rappresentante sindacale per la Cgil – “è che i lavoratori vengano ripresi in carico nell’amministrazione straordinaria”. Anche se, afferma, “rischiamo di non avere neanche gli ammortizzatori sociali, perché tutto resta sospeso fino al termine della procedura”. Insomma, sintetizza con amarezza, “non siamo né licenziati, né assunti”.

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