Bologna, 7 gennaio 2025 – “La piena colpevolezza di Paolo Bellini degli orrendi delitti a lui contestati”, ossia la strage del 2 agosto 1980, “emerge con assoluta certezza: risultata granitica e inequivocabile nel processo di primo grado, è ulteriormente supportata dalle risultanze istruttorie” dell’appello. Così i giudici della Corte d’assise d’appello presieduti da Alberto Pederiali motivano la condanna di ergastolo, conforme al primo grado, nei confronti di Bellini, l’ex Primula nera di Avanguardia nazionale accusato di avere materialmente concorso alla strage in stazione, quasi 45 anni fa.

Con lui sono stati condannati l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, sei anni per depistaggio, e l’amministratore condominiale di via Gradoli a Roma, Domenico Catracchia, confermati i 4 anni per false informazioni al pm.
Smontato l’alibi di Bellini
Tornando a Bellini, ribadiscono i giudici dell’appello, "il video girato dal turista Harald Polzer e il riconoscimento da parte della ex moglie Maurizia Bonini" provano "senza ombra di dubbio alcuno che Bellini era in stazione a Bologna pochi minuti prima e pochi minuti dopo la micidiale esplosione", che causò 85 vittime e oltre 200 feriti. Non solo. Contro l’imputato pesa anche quell’alibi "appositamente preordinato e rivelatosi falso per una circostanza assolutamente fortuita e imprevedibile", ossia il video del turista straniero "girato per ricordo famigliare e divenuto noto agli inquirenti solo ed esclusivamente perché, diverso tempo dopo la strage, il turista ne capì la possibile importanza a fini investigativi". Altrimenti, il racconto di Bellini (per anni sostenuto anche dalla ex moglie e smentito durante le indagini) di una vacanza di famiglia al Tonale, con figli e nipotina al seguito, con partenza la mattina attorno alle 9.30 da Rimini (la bomba, come è noto, esplose alle 10.25), avrebbe forse retto ancora. Un alibi preordinato proprio per evitare, come è effettivamente poi successo, che qualcuno lo riconoscesse mentre era in stazione.
Il ruolo di Bellini nella strage sarebbe stato quello di "portare dalla Toscana l’esplosivo per confezionare la bomba, come emerso dall’intercettazione del 1996 di Carlo Maria Maggi, di Ordine nuovo, che alla famiglia raccontò come l’ordigno fosse stato portato da "un aviere", e Bellini guidava gli aerei. Con lui alla strage ha preso parte anche Sergio Picciafuoco, "presente in stazione e sicuramente partecipe all’eccidio", scrivono i giudici; contatti precedenti vi erano poi tra Bellini e Gilberto Cavallini, che tra una settimana affronterà la Cassazione per la stessa strage.
Le motivazioni: il passaggio su Licio Gelli
L’esecuzione materiale della strage è imputabile a un "commando terroristico composto da più cellule e soggetti di varie organizzazioni eversive di destra, col comune obiettivo di destabilizzare l’ordine democratico, e anche da soggetti legati ad apparati istituzionali deviati"; una "alleanza operativa" in cui alcuni membri potrebbero anche "avere agito perseguendo solo propri specifici e ulteriori obiettivi", per esempio "un rilevante compenso economico, o continuare ad avere ’coperture’ e ’protezione’ da apparati deviati dello Stato". Il tutto ordito e architettato dalla Loggia P2 e "dal suo capo indiscusso Licio Gelli, che ha sia direttamente finanziato la strage sia organizzato ripetute operazioni di depistaggio anche mediatico della stessa".
Per quanto riguarda i coimputati, Catracchia avrebbe "intenzionalmente mentito" alla Pg sulle locazioni di via Gradoli, "perché costretto dalla necessità di salvare sé o congiunti da un grave nocumento", per giunta ribadendo il presunto "errore mnemonico" a due anni di distanza: la sua "condotta reticente e mendace ha impedito di chiarire se e quali soggetti, eventualmente di apparati istituzionali, hanno avuto rapporti con i terroristi esecutori della strage, ma anche con mandanti, organizzatori, finanziatori e depistatori, che così sono potuti restare impuniti". Dura poi la conclusione contro l’ex capitano Segatel, che negò quanto dichiarato dalla sua informatrice Mirella Robbio (moglie dell’ordinovista Mauro Meli), secondo cui "poco prima della strage" lui le chiese di aiutarlo a scoprire cosa fosse quel "qualcosa di veramente grosso" che la destra eversiva stava preparando, dicendole poi, dopo la strage, "Visto cosa potevamo evitare?" e causandole sensi di colpa. "Segatel ha concretamente impedito di chiarire aspetti importantissimi della strage: la fonte della notizia poteva condurre a tutti i partecipi materiali della stessa e anche a tutti coloro che l’avevano concepita e organizzata, oltre che finanziata". Perciò, non solo si conferma la condanna, ma "la pena inflitta appare inadeguata al delitto e alla personalità dell’imputato, ma per difetto – sottolineano i giudici –. E non è modificabile per il divieto di ’reformatio in pejus’".