Bologna, 10 settembre 2024 - “Giampaolo Amato non veniva mai alle assemblee condominiali, ma pure noi che non ne perdevamo una non sapevamo che le telecamere nell’atrio e sui pianerottoli fossero rotte, nell’ottobre 2021. Furono sostituite dopo la morte della dottoressa Linsalata. Lui non poteva sapere che non registravano, in quel periodo”.
Così dice alla Corte d’assise un vicino di casa di via Bianconi 6 del medico di 62 anni accusato di avere ucciso avvelenandole con un cocktail di farmaci la moglie Isabella Linsalata e la suocera Giulia Tateo a 22 giorni l’una dall’altra nell’ottobre 2021. Con gli ultimi testimoni della difesa si è chiusa infatti oggi la fase istruttoria del processo per duplice omicidio: la prossima settimana si aprirà la discussione, con la requisitoria della pm Morena Plazzi.
“Ero amica di Isabella e lei mi confidò di avere avuto problemi di salute: pensava a un tumore, invece le dissero che era dovuto al forte stress. Era circa il 2019. Tempo dopo, nel 2020 o comunque quando già sapevo della sua crisi familiare, mi disse che prendeva dei farmaci per gestire quello stress e in particolare per dormire. Del resto era un periodo complicato per lei, che si sentiva pure perseguitata dai messaggini che l’amante del marito continuava a mandarle. Ma di raccomandò di non rivelare a nessuno delle medicine che prendeva”.
Così dice un’altra teste sentita ieri, a suffragio della ipotesi difensiva per cui il cocktail letale di benzodiazepine e anestetici che sarebbe risultato letale a Linsalata, medico come il marito, fossero stati assunti dalla donna stessa, volontariamente.
Per l’accusa invece fu il marito a uccidere prima la suocera anziana, che viveva nell’appartamento comunicante a quello della coppia, poi la moglie. Moventi: economico, per l’eredità, e sentimentale, per poter vivere liberamente la relazione extraconiugale che intratteneva dal 2018.