
Il curatore fallimentare Mauro Morelli e l’avvocato Antonio Materia a colloquio col pubblico ministero Francesca Rago in una pausa. A destra Luca Mancini
Cesena, 25 giugno 2025 – Gli imputati? Vanno assolti tutti perché il fatto non sussiste. Al processo per la bancarotta dell’Associazione Calcio Cesena, in corso da oltre due anni e mezzo davanti al collegio formato dai giudici Marco De Leva (presidente), Federico Casalboni e Giorgia Sartoni, è arrivato il turno delle difese. Dopo che il pubblico ministero Francesca Rago aveva chiesto dieci condanne a pene comprese fra due anni e quattro anni e tre mesi di reclusione, ieri mattina sono iniziati gli interventi degli avvocati difensori degli imputati.
Il primo a prendere la parola, per la verità, è stato quello dell’avvocato bolognese Antonio Materia, parte civile per conto del curatore fallimentare Mauro Morelli, che ieri era in aula e gli ha stretto la mano al termine dell’intervento: ha rafforzato le richieste di condanna del pubblico ministero e ha presentato pesanti richieste di risarcimento per i tre imputati che non hanno trovato un accordo stragiudiziale con la curatela fallimentare: 33 milioni di euro per Luca Mancini, direttore generale sotto la presidenza di Igor Campedelli, 16,9 milioni a testa per Rino Foschi e Luigi Piangerelli, rispettivamente direttore sportivo della prima squadra e del settore giovanile.
La batteria degli avvocati difensori è iniziata con l’intervento dell’avvocato e docente universitario Tommaso Guerini che difende il commercialista cesenate Luca Mancini che prese parte alle gestione dell’Ac Cesena (anche con l’incarico di direttore generale) dal 2009 al 2013: la difesa è stata incentrata sul fatto che all’epoca la situazione finanziaria della società non era ancora compromessa e il dissesto che poi si verificò era lontano.
L’avvocato Alessandro Melchionda (anche lui bolognese e professore universitario) ha prospettato ai giudici le ragioni dei componenti del collegio sindacale Stefano Bondi e Barbara Galassi: ha citato società calcistiche di serie A con centinaia di milioni di debiti, decine dei quali nei confronti del fisco. “Le rateizzazioni dei versamenti da effettuare per l’Iva erano legittime e più convenienti del ricorso al credito bancario”. Stigmatizzato il fatto che la richiesta di fallimento annullò il piano di ristrutturazione del debito che avrebbe portato nelle casse dell’Agenzia delle Entrate 20 milioni anziché i 40 dovuti, ma così non è arrivato alcunché.
L’avvocato veronese Daniele Ripamonti, difensore dell’ex presidente del Chievo Luca Campedelli, ha rimarcato la mancata simmetria delle azioni delle procure forlivese e veronese: i fallimenti di Cesena e Chievo hanno originato due processi paralleli, ma a Forlì è stato coinvolto il presidente del Chievo, mentre a Verona nessun cesenate è stato chiamato in causa.
Lo stesso ragionamento è stato portato avanti da Silvia Castellari, avvocato milanese che difende Luigi Piangerelli, accusato di concorso esterno in bancarotta fraudolenta per le plusvalenze fittizie: perché Marco Fioretto, responsabile del settore giovanile del Chievo, non è imputato, mentre Piangerelli che occupava lo stesso ruolo a Cesena sì? Inoltre l’avvocato Castellari ha insistito molto sul fatto che Piangerelli aveva un ruolo esclusivamente tecnico, non aveva poteri di firma, non gestiva risorse economiche né aveva accesso alla contabilità societaria.
Martedì prossimo 1° luglio ci saranno le arringhe dei difensori degli altri sei imputati, e il 15 luglio la sentenza.