
di Raffaella Candoli
Villa Torlonia echeggerà dei suoi versi di Giovanni Pascoli, stasera alle 21.15, grazie all’interpretazione di Lucilla Giagnoni, accompagnata dalle musiche di Paolo Pizzimenti. Si tratta di un’anteprima nazionale di "Poesie luoghi dell’anima", a cura dell’Accademia Pascoliana e della sua presidente Daniela Baroncini che ha scelto i testi. Lucilla Giagnoni, toscana, carismatica interprete teatrale, dopo essersi dedicata alla lettura integrale di tutti i canti della Divina Commedia su Rai 5, affronta i versi dell’intenso poeta di casa nostra, maestro del simbolismo e dell’onomatopea.
Come si passa dal mondo dantesco a quello pascoliano?
"Pascoli meditò a lungo sull’opera di Dante, tenne lezioni e conferenze, e pubblicò tre volumi di analisi dantesca. Dunque c’è affinità. Come Dante ebbe Virgilio come guida nel viaggio ultraterreno, io mi farò accompagnare idealmente da Dante per attraversare la personalità e le tematiche pascoliane".
Trova analogie tra i due poeti? "I grandi poeti sono tutti un po’ oracoli, sciamani, creature che per sensibilità hanno la capacità di vedere altri mondi che noi umani non intercettiamo o dei quali non ci rendiamo conto: ogni volta che dormiamo o nelle apnee del respiro piombiamo in un mondo parallelo. Se Dante era quello che in mitologia e religione viene definito psicopompo, colui che accompagna le anime dei morti nell’oltretomba, chi più di Giovanni Pascoli ha convissuto con le anime dei suoi morti? Che di notte tornano alle loro case come vuole la fantasia popolare. E San Mauro è intriso di queste presenze".
Incide nella poetica, il legame con il territorio?
"Sì, me ne sono resa conto 25 anni fa, con ‘Paesaggi’, un progetto teatrale nato dalla constatazione di aspettare una figlia. Sono fiorentina, per ragioni familiari trasferita a Novara, in Piemonte, e quando sono rimasta incinta mi sono resa conto che in quella terra che avevo trascurato di osservare avevo piantato un seme. Così cambiò la mia visuale di quel luogo e iniziai a trovarvi un terreno molto fertile su cui posare i piedi per scrivere. Ho capito che come attrice sono nomade, ma come autrice avevo bisogno di radici, come le piante per ingrandire la chioma, un legame tra cielo e terra, con la vita e l’amore per una figlia".
Dunque, se Pascoli fosse nato altrove non avrebbe scritto quei versi.
"Certamente. Riconosco ai romagnoli una visionarietà, la capacità di oltrepassare una soglia underwood. Basti pensare a Tonino Guerra, Federico Fellini. E sarà la tettonica a zolle, la morfologia geografica, ma Pascoli penetra il sotterraneo, l’altra realtà collegando il qui e l’aldilà con un filo rosso".