Le elezioni regionali si sono chiuse in Emilia-Romagna con un'affluenza alle urne di poco superiore al 46%. I motivi della fuga degli elettori sono sicuramente tanti e in questi giorni si è cercato ovunque una motivazione. Sicuramente la campagna elettorale, pur corretta e civile, non ha offerto punti di discussione particolarmente interessanti o innovativi; i due principali candidati, Michele de Pascale per il centrosinistra ed Elena Ugolini per il centrodestra, si sono focalizzati soprattutto su alluvione e sanità, temi che sono in cima all'agenda del neogovernatore, l'ex sindaco di Ravenna. Seguendo comizi, duelli e programmi, però, c'è stato un grande assente da questa tornata elettorale: il lavoro. Purtroppo, la crisi che sta colpendo duramente anche questa regione - dagli affanni nell'automotive e nel biomedicale alle difficoltà di agricoltura e turismo, passando per le pesanti ristrutturazioni, come quelle della Berco o della Perla - è sembrato qualcosa di distante dai candidati che di ricette per l'occupazione ne hanno messe in campo veramente poche. Certo, hanno girato in lungo e in largo la regione, ma in mezzo agli operai a rischio licenziamento, nei campi disastrati, tra chi rischia di vedere il proprio mondo crollare dopo un licenziamento, ci sono stati poco. Anzi pochissimo. Come se tutto andasse bene. Sbagliato. Chi si professa vicino alla gente deve stare in mezzo al popolo, deve parlare con chi soffre e soprattutto deve spiegare come in una regione come questa si possono rilanciare gli investimenti e difendere i marchi storici dalle speculazioni delle multinazionali, come si può rendere il territorio attrattivo per i giovani (con gli affitti alle stelle quali proposte ci sono), come si deve rendere migliore il welfare sociale per contrastare almeno in parte l'inflazione che ha eroso pesantemente i salari. Forse, la lontananza dalle urne è frutto anche di questo: meglio lavorare o cercare un lavoro che dare il proprio sostegno a chi del lavoro non è molto interessato.
EditorialeLontani dal popolo