Bimbo ucciso nel letto, i periti sulla mamma: "Personalità disturbata, ma non vizio di mente"

Psichiatra e psicologo hanno esposto la loro r elazione alla corte d’Assise "Può partecipare al processo, ma è una paziente che ha bisogno di cure Ha abusato di alcol e droga fin da giovane". La discussione a maggio

I rilievi dei carabinieri in via degli Ostaggi

I rilievi dei carabinieri in via degli Ostaggi

Ferrara, 12 aprile 2024 – Amanda Guidi è "una paziente psichiatrica, bisognosa di cure". Non può dunque essere considerata "al pari di una persona ‘sana’ e pienamente capace". Quando ha ucciso Karim, il figlioletto di appena un anno, era in una condizione psichica in cui le capacità di intendere e volere potevano considerarsi "attenuate, ma senza raggiungere quel valore di infermità tale da identificare il vizio parziale di mente". Sono articolate le conclusioni alle quali sono arrivati lo psichiatra Renato Ariatti e lo psicologo Marco Samory, i periti incaricati dal tribunale di valutare le condizioni mentali della 31enne (assistita dagli avvocati Marcello Rambaldi e Alessio Lambertini) a processo per omicidio davanti alla corte d’Assise. Nell’udienza di ieri i due tecnici hanno relazionato davanti ai giudici, delineando un quadro complesso. Innanzitutto, secondo i periti, Guidi è una donna affetta "da un grave disturbo di personalità" che richiede una "continuità assistenziale". In particolare, il suo profilo è compatibile con un disturbo "borderline".

Sulla base di queste premesse, all’epoca dei fatti per i due professionisti non sarebbero emerse "condizioni cliniche tali da scemare gravemente o escludere le capacità di intendere e di volere" dell’imputata. Guidi può inoltre partecipare "coscientemente al processo" istruito a suo carico. Per quanto riguarda infine la richiesta di valutarne la pericolosità sociale, i tecnici non hanno individuato alcuna patologia tale da "poter incidere sulla capacità di autodeterminarsi". Alla luce di ciò, non si pone "la necessità di rispondere al quesito, rientrando tale valutazione nella competenza del magistrato". Il lungo esame dei periti ha sollevato il velo su altri aspetti della vita dell’imputata, segnata da abusi di alcol e droga e da tormentate vicende familiari e personali. Aveva infatti iniziato ad assumere sostanze all’età di quindici anni, mentre a 18 aveva cominciato a lavorare in un night club per ottenere l’indipendenza economica. A questo si aggiungono un padre violento allontanatosi da casa e un ex compagno con il quale aveva avuto rapporti burrascosi. Dalla relazione degli psichiatri emergono infine dettagli su quanto accaduto la mattina del 17 giugno 2021 in quell’appartamento di via degli Ostaggi. Amanda aveva assunto alcol e cocaina prima di togliere la vita al piccolo Karim, soffocandolo nel lettone. Subito dopo aveva provato a sua volta a uccidersi, tagliandosi i polsi. Nelle ore successive, a partire dall’arrivo dei carabinieri, ha iniziato a riferire versioni contrastanti sul suo coinvolgimento nella morte del bimbo. Inizialmente si è autoaccusata, riferendo di voler "portare con sé il figlio nella morte per proteggerlo", temendo che in sua assenza nessuno potesse prendersi cura di lui, salvo poi rimangiarsi tutto e negare un suo ruolo nella tragedia.

Conclusa l’audizione dei periti e preso atto della scelta dell’imputata di non sottoporsi a esame, la corte d’Assise ha chiuso l’istruttoria rinviando al 16 maggio per la discussione e, forse, la sentenza.