
Lavoratori ignari dell’epidemia in corso, tute sporche riutilizzate per vari turni e il bisogno di lavorare, anche per...
Lavoratori ignari dell’epidemia in corso, tute sporche riutilizzate per vari turni e il bisogno di lavorare, anche per pochi spiccioli, che ha spinto ad andare avanti anche qualora si sospettasse che in quell’incarico c’era qualcosa che non andava. Continuano le testimonianze nell’ambito del processo sul presunto sfruttamento del lavoro nero per la bonifica post aviaria allo stabilimento Eurovo di Codigoro. Gli imputati sono i forlivesi Elisabetta Zani, Gimmi Ravaglia e Ido Bezzi (presidente, vicepresidente della cooperativa Bidente) e i marocchini Abderrahim El Absy, Ahmed El Alami e Lahcen Fanane. Le indagini seguirono gli accertamenti su un incidente mortale che coinvolse un furgone che stava riportando a casa gli operai e permisero di scoprire che quei lavoratori rientravano dallo stabilimento codigorese, dove erano impegnati nelle operazioni di bonifica dei polli morti. L’attenzione della guardia di finanza si focalizzò sull’appalto da cinque milioni affidato alla cooperativa del Bidente e poi sulle varie aziende subappaltatrici. Ieri mattina, in tribunale, è stato ascoltato un operaio di origine ghanese che aveva lavorato alla bonifica dall’aviaria. La testimonianza è per molti aspetti simile a tante altre ascoltate nelle scorse udienze. Lo straniero ha spiegato di non sapere dell’epidemia e di essere stato incaricato di rimuovere i polli morti e di pulire gli escrementi. Poi il capitolo dispositivi di protezione. Il lavoratore era dotato di una mascherina che cambiava ogni giorno, ma così non era per tuta e scarpe che venivano lavate e riutilizzate. Rispondendo a una domanda, ha spiegato di aver pensato che potesse esserci pericolo per la salute, chiarendo però di non avere scelta perché aveva bisogno di quel lavoro.