MAURIZIO BURNACCI
Cronaca

Daniele Severi, battaglia in aula: “Non sono stato io ad aggredire mio fratello: voglio giustizia”

Processo all’uomo in carcere da 8 mesi per l’assassinio di Franco, l’altro famigliare trovato cadavere nel giugno scorso. Ieri in tribunale per lesioni e minacce contro Romano. L’imputato: "Io dico la verità"

Forlì, 9 marzo 2023 – Daniele Severi compare in aula alle 12.40 di ieri scortato dagli agenti di polizia penitenziaria. In questo processo deve fronteggiare le accuse di lesioni e minacce mosse dalla procura su denuncia del fratello Romano, per un episodio del 26 maggio 2019. Ma i guai del 63enne meldolese autista del 118 in pensione sono ben altri: dal 2 luglio dello scorso anno è in carcere preventivo con l’accusa di avere ucciso, decapitandolo, il fratello Franco, 53enne, trovato cadavere la sera del 22 giugno 2022 in un dirupo della casa rurale di famiglia a Ca’ Seggio di Civitella. Un omicidio mosso – sostiene la procura – da ragioni di eredità del fondo agricolo, conteso dall’indagato e da altri fratelli, coi quali il contenzioso, a suon di denunce e controdenunce, va avanti dal 2014.

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Lo sguardo è gagliardo; Daniele si siede di fronte al giudice, Sonia Serafini. Al suo fianco, l’avvocatessa Maria Antonietta Corsetti. Lì vicino, anche l’altro difensore, Massimiliano Pompignoli. Romano Severi, la parte offesa, assistito dall’avvocato Max Starni, è tra il pubblico. Tra i due, neanche uno sguardo diretto; le occhiatacce però si precano. Daniele appare impaziente d’inziare la disputa. Issa gli occhiali da vista con stanghetta verde. Scrive, butta giù appunti. Si gira più volte di scatto, attratto dai rumori del viavai di avvocati e inquirenti. Ma il suo intento sembra essere quello d’inquadrare, di sottecchi, Romano. Il quale resta impassibile.

Una testimone viene sollecitata dalla pm Alessandra Dati. La donna è teste oculare, per essere stata presente alla lite tra fratelli. Nella sua accusa Romano sostiene di essere stato "aggredito" davanti alla casa di accoglienza dove il padre dei due, Attilio, era ospite. "Mi faceva cadere a terra... mi comprimeva la testa contro il terreno con violenza e mi gridava ti ammazzo..." sostiene il verbale di querela di Romano. La teste, operatrice socio sanitaria, ripete una sequela di "non ricordo". Daniele, vividissimo, appare stizzito. Continua a riempiere il foglio d’inchiostro con la sua Bic. Imbecca l’avvocatessa con precise indicazioni. La incita a intervenire.

Poi è lui stesso che accetta di parlare in aula. Felpa blu, polo bianca, jeans, scarpe da ginnastica blu. In perfetta forma. Per niente provato da 8 mesi di detenzione. Freme. La pm gli chiede com’è andata quel giorno. "Adesso dico io le cose come stanno... Quel giorno Romano comincia con le sue solite recriminazioni... Poi, fuori dalla struttura, mi urla ’pezzo di m...’. Io replico. Lui si avvicina. Mi mette un dito in un occhio. Poi mi trascina giù... Con la bocca Romano mi stringe un dito... Io cerco di liberarmi..."; "Lei ha sbattuto la testa di Romano a terra?", chiede la pm; "Io no! Non ho detto questo lo dice lei ora!... Lui mi ha trascinato a terra! Volete che vi faccia vedere com’è andata?". La giudice cerca di placa le turbolenze. Daniele contrattacca: "Io dico la verità... Ho rifiutato anche il rigetto della querela che propose Romano, perché voglio giustizia". Gli animi si elettrizzano; pm, imputato e avvocatessa ingaggiano un’assidua sfida a tre. Il tutto per quasi 50 minuti. Il 26 aprile, la sentenza.