I sospetti della difesa: "Franco ucciso dalla malavita...". I testi? Non chiariscono

Decapitato, seconda udienza dedicata alle deposizioni dei legali dell’imputato. Che battono "le piste mai investigate dalla procura". Incalzato un operaio: "Che ci faceva di notte vicino al casolare?".

I sospetti della difesa: "Franco ucciso dalla malavita...". I testi? Non chiariscono

I sospetti della difesa: "Franco ucciso dalla malavita...". I testi? Non chiariscono

Alla seconda tappa dei testimoni della difesa, gli avvocati di Daniele Severi ribadiscono che la pista del colpevole sta altrove. Dove? Ovunque, ma non dalle parti dell’imputato. I legali Massimiliano Pompignoli e Maria Antonietta Corsetti puntano il dito su "altre piste investigative mai battute dalla procura". È stato fin da subito il loro refrain. E lo rimarcano sentendo in aula nove testimoni che nella logica difensiva devono (dovrebbero) irrorare di linfa la loro tesi.

Sonny Maturro è un operaio, amico della vittima, Franco Severi. Maturro il 22 giugno, giorno del ritrovamento del corpo senza testa, va nel fondo di Franco per "ritirare delle cisterne che gli avevo prestato anni fa…".

Dalle 15 alle 21.30 Sonny fa chiamate a raffica (vane) sul cellulare dell’amico. In serata Maturro, dopo aver visto lo sciame di lampeggianti di carabinieri e vigili del fuoco, va sul fondo a vedere che è successo. Corsetti lo stimola al ricordo: "C’era anche Franco Pinto lì sul posto?". (Pinto è il vicino di casa della vittima; per la difesa saprebbe "molto più di ciò che dice" sul delitto): "Sì c’era – è la risposta del teste Maturro –. E assieme ai carabinieri m’ha detto di tornare indietro perché lì non c’era nulla da vedere". "Ma Pinto lei lo aveva chiamato durante il giorno?", chiede Corsetti. "Sì, ma non mi ha risposto". Per la difesa il particolare getterebbe ombre sul comportamento di Pinto. Dietrologie? Non per gli avvocati. Che poi incalzano un altro testimone, Andrea Silvestri, pure lui operaio, che abita non distante dal fondo di Ca’ Seggio. Silvestri la notte tra il 21 e il 22 – che per gli inquirenti è l’orario del delitto – è in auto con la fidanzata. Partenza alle 23, per un giretto tra le risacche boschive della zona. Poi alle 3 la ragazza torna a casa. L’auto di Silvestri invece continua il suo tour (il tutto si evince dalle carte dell’inchiesta, con la Panda di Silvestri tracciata dal satellite). Corsetti lo incalza, con tattica inquisitoria: "Lei è stato in giro tutta la notte e sempre vicino al fondo di Franco. Perché? Cos’ha fatto?". Il teste infarcisce di "non ricordo" la deposizione. Corsetti non glielo perdona: "Non ricorda nulla". E lui: "Poi sono andato a tartufo con mio cugino...". Corsetti non si placa. A placcarla, dialetticamente, è la presidente della Corte, Monica Galassi: "Il teste dice che non ricorda, basta...".

Per l’avvocato Pompignoli, Daniele è innocente anche perché la prova tecnica più pesante dell’accusa, un paio di guanti di Franco, col sangue di Franco, trovati nel cofano della macchina dell’imputato, sarebbe quantomeno ‘misteriosa’: "Quando controllai l’auto per conto dei carabinieri, lì non c’era niente", dice, stimolato da Pompignoli, il teste Doriano Versari, meccanico, incaricato dai militari di visionare la Panda di Daniele. Era il 4 luglio. I guanti emersero poi l’8 luglio, giorno dell’arresto di Daniele. Infine: Corsetti adombra la tesi che a uccidere Franco sia stata "la criminalità organizzata visto che lui frequentava night e prostitute...".

Maurizio Burnacci