La moglie difende l’imputato: "Non farebbe male a nessuno". L’accusa: "Nascose un’arma..."

Monia Marchi torna in aula come teste: "Mio marito non era in casa la notte dell’omicidio, ho mentito su questo punto, ma solo per proteggerlo". Il contrattacco di pm e parte civile.

La moglie difende l’imputato: "Non farebbe male a nessuno". L’accusa: "Nascose un’arma..."

La moglie difende l’imputato: "Non farebbe male a nessuno". L’accusa: "Nascose un’arma..."

Monia Marchi torna in aula. E dopo avere ammesso le sue menzogne (nella testimonianza del 7 dicembre), adesso ne narra la genesi. Le motivazioni. E le emozioni s’accalcano. La donna si commuove. Ispirata dalle domande di Massimiliano Pompignoli, difensore del marito imputato (Daniele Severi) la donna si spiega, sfogandosi: "Ho detto di avere ammesso mentito durante le indagini sulle telefonate che feci a mio marito la notte dell’omicidio… lui non rispose… dissi che quelle telefonate le aveva fatte lui col mio telefono per cercare il suo cellulare… mentii perché mio marito Daniele era sotto attacco da parte di tutti. Tutti lo colpevolizzavano... Per aiutarlo lì per lì ho creduto che era giusto mentire. Volevo proteggerlo. Successivamente ritrattai tutto ai carabinieri all’inizio di luglio 2022.. Insomma ho capito che quella bugia non salvava Daniele da niente. Mi sono ravveduta…". L’avvocato Pompignoli però torna anche su un’altra menzogna di Monia, pure quella confessata nella scorsa udienza. "Lei disse che poco dopo la notizia del ritrovamento del cadavere di Franco, ricevette la telefonata di sua nipote Elisa, figlia di Romano Severi, la quale la informa che stavano per incastrare suo marito… Perché non l’ha mai riferito ai carabinieri?…" chiede Pompignoli... "Non lo ricordavo... e non ricordo perché...". Nello specifico, la toppa non cuce il buco della verità. Poi Monia si lancia in un’accorata difesa d’ufficio del marito: "Daniele urla spesso ma non farebbe nmai del male a nessuno…".

Ma ecco che Max Starni, l’avvocato di parte civile, che assiste i fratelli di Franco – tutti contro Daniele – trancia la trama soffusa e sferra il colpo: "Lei signora conferma di essere stata condannata in primo grado per falsa testimonianza per un incidente stradale in cui suo genero investì e uccise il senatore Stelio De Carolis, nel 2017?…". "Sì...". L’intento inespresso di Starni (ossia: la donna è abituata a mentire alle forze dell’ordine) è andato a segno? Si vedrà col verdetto.

L’ordito dell’udienza sposta poi il tiro sul carabiniere Marco Cicerone. Avviato dal pm Federica Messina, il sottufficiale in veste di teste si focalizza sul 5 luglio 2022 quando Daniele (13 giorni dopo l’assassinio del fratello Franco) va in via Maglianella, tra Carpena e Magliano (dove ha in uso un’attrezzaia), per disfarsi d’una pistola ’ammazzabuoi’ e d’una canna da fucile. Il detective Cicerone trova i due arnesi utilizzabili come armi (la procura ipotizza che Daniele abbia ucciso il fratello e solo dopo gli abbia tagliato la testa) il giorno dopo. Perché Daniele s’è sbarazzato di questi oggetti? Il punto appare quanto meno fosco. Pompignoli poi però issa i suoi soliti paletti: "Maresciallo ma quella pistola ammazzabuoi… risulta che abbia sparato?". "Questo non risulta…" è la risposta del carabiniere. Pompignoli annota. E lo fa pure la Corte. Morale: la verità processuale via via sembra filamentarsi, anziché addensarsi. Domanda ancora Pompignoli: "Dalle vostre immagini è visibile il guidatore?". "Solo di sfuggita…" fa il teste. La futura sentenza – allo stato dell’arte delle notizie a disposizione – diramerà la matassa, non ne svelerà l’enigma.

Maurizio Burnacci