
Un medico in corsia
«Ruolo unico, danno multiplo. Il nuovo ruolo unico di assistenza primaria, introdotto dall’Accordo collettivo nazionale 2024, stravolge l’organizzazione della medicina territoriale. Invece di valorizzare le nostre competenze, ci impone un modello rigido e insostenibile, obbligandoci a svolgere contemporaneamente l’attività di medico di famiglia e quella di continuità assistenziale (ex guardia medica), senza possibilità di scelta e senza tenere conto dei carichi di lavoro, delle specificità professionali e delle condizioni di vita personali». A lanciare l’allarme – anche attraverso una petizione online su Change.org - sono i medici di medicina generale che non hanno finito il corso di formazione entro il 2024. Il problema riguarda tutta Italia, anche i giovani dottori del Maceratese. In pratica i medici di famiglia che dal 2025 in poi prendono l’abilitazione vengano inquadrati come «figure uniche», cioè interscambiabili tra assistenza primaria (la classica attività diurna) e guardia medica. E potranno essere spostati dove serve, come «tappabuchi», a differenza dei colleghi già in servizio che possono mantenere il vecchio
regime. «Si parla sempre di carenza di medici, ma è bene che le persone sappiano che i medici che ci sono non vengono messi nelle condizioni di lavorare – esordisce il gruppo -. Se le cose non dovessero cambiare, questa nuova legge farà dimettere moltissimi medici di famiglia giovani, direi quasi tutti, potenziando un ulteriore esodo verso il settore privato o altre attività specialistiche. Di conseguenza, c’è il rischio che i pazienti rimangano scoperti, senza medico. Ecco perché cerchiamo di parlarne il più possibile e ci stiamo organizzando in un movimento nazionale per modificare e correggere questa novità». Il gruppo spiega che il quadro oggi è già complesso. I medici di medicina generale sono liberi professionisti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale (Ssn). Provvisti di partita Iva, hanno orari flessibili ma anche tutele ridotte: devono autogestirsi in caso di ferie, malattia, gravidanza.
«Nel nostro territorio ora a svolgere la professione sono più donne – prosegue -. Ad esempio nei cinque mesi di maternità sono costrette a trovare un sostituto per non perdere il lavoro (senza considerare i casi di gravidanza a rischio)». Spiega poi che i Comuni più piccoli a volte non vengono scelti dai medici solo perché, a differenza delle città con i gruppi associati, è più difficile trovare un collega che possa fare la sostituzione per ferie o malattia. «In generale facciamo tante ore di ambulatorio e il sovraccarico, unito alla mancanza di tutele, ha reso la professione sempre meno attrattiva per i giovani – continua -. Questo per dire che, invece di migliorare una situazione già difficile, la nuova legge crea tanti problemi. Nell’Accordo collettivo nazionale il governo aveva proposto che i nuovi dottori diventassero dipendenti del Ssn e per noi poteva andare bene, ma i sindacati si sono opposti. Il nuovo modello impone condizioni di lavoro che mettono a rischio la salute psicofisica dei medici (dopo il turno di notte dovremmo andare ad aprire l’ambulatorio) e la sicurezza delle cure per i pazienti, favorisce la fuga dei giovani medici medicina generale e svuota i corsi di formazione specifica. Nel redigere questo Accordo hanno considerato solo le ore di ambulatorio che noi medici di famiglia facciamo sulla carta, ma nella realtà le sforiamo sempre e in più abbiamo almeno altre 5-6 ore al giorno di back office. La nostra proposta è che anche le ore che già svolgiamo per l’Ast vengano regolamentate». A rischio la copertura dei posti vacanti e il corso triennale per la formazione, che già l’anno scorso aveva visto una drastica riduzione delle iscrizioni. Ecco cosa chiede quindi il gruppo con forza: «Il ripristino della libertà di scelta, una revisione immediata dell’Accordo collettivo nazionale con un nuovo atto di indirizzo che tenga conto delle reali esigenze della professione e la valorizzazione concreta della medicina dei servizi, inclusa nelle Case di comunità, oggi trattata come un settore a esaurimento nonostante il suo ruolo strategico. Ci rivolgeremo anche alla Regione per far sentire la nostra voce».