Piene dei fiumi, l’esperto: “Ecco come prevederle e limitare i danni”

Il professore dell’Ateneo bolognese, Alberto Montanari è fra gli autori dello studio, pubblicato su Nature Geoscience disposto per arrivare a costruire un modello capace di prevedere la portata del 95,5% delle inondazioni

Bologna, 8 novembre 2023 –  Alberto Montanari, docente alla facoltà di Ingegneria dell'Università di Bologna, dove tiene corsi rivolti all'Adattamento ai cambiamenti climatici e alle Dinamiche costiere, è fra gli autori della ricerca che ha analizzato 510 alluvioni europee per arrivare a costruire un modello capace di prevedere la portata del 95,5% delle inondazioni.

Lo studio, pubblicato su Nature Geoscience, ha raccolto dati provenienti da ottomila diverse stazioni di rilevamento, dal 1810 a oggi.

L'esondazione del fiume Savio e nel riquadro il professore dell'Università di Bologna Alberto Montanari (Foto Ravaglia)
L'esondazione del fiume Savio e nel riquadro il professore dell'Università di Bologna Alberto Montanari (Foto Ravaglia)

Professor Montanari, a quali parti d'Europa occorre guardare per poter prevedere le piene dei fiumi emiliano-romagnoli, marchigiani e toscani?

“Tendenzialmente a quelle climaticamente più simili: per il Po è bene fare riferimento alla valle del Rodano, in Francia, o a quella dell'Ebro, in Catalogna. Dobbiamo guardare a fiumi che abbiano un bacino simile, e un'analoga area impermeabilizzata, cioè urbanizzata. Per i fiumi romagnoli, marchigiani e toscani, dal tracciato breve ma impetuoso, sono molto utili i dati sui fiumi della Grecia. Dobbiamo imparare a conoscerli perché un bacino medio-piccolo è più rischioso di uno grande: la piena del Po è piuttosto rara, dal momento che per ottenerne una occorre una settimana di piogge, mentre ne basta molta meno per far esondare fiumi come quelli della Romagna, delle Marche o della Toscana”.

Quali alluvioni del passato ci avrebbero potuto fornire elementi utili?

“Il caso più illuminante è quello dell'alluvione tedesca del 2021, un evento che lì per lì sembrò inedito. Osservando il passato recente si scopre invece che ce ne furono di analoghi nell'Europa centrale e orientale appena pochi anni prima: non dobbiamo cadere nell'errore di pensare che dal momento che attraversiamo una crisi climatica allora i dati del passato siano inservibili. Sono invece importantissimi. Teniamo conto che a parità di estensione di un bacino, il volume d'acqua di una piena in nord Europa è circa quattro volte inferiore a quanto può avvenire alle nostre latitudini, per via della maggiore intensità delle precipitazioni. La crescita dovuta ai cambiamenti climatici c'è, ma è nell'ordine dei punti percentuali. Esiste insomma una variabilità spaziale maggiore della variabilità temporale”.

Eppure i cambiamenti climatici hanno fatto la loro parte

“Senza dubbio. L'accelerazione nello scioglimento dei nevai alpini e appenninici ha anticipato il picco della piena dei fiumi, che ora è concentrato fra marzo e aprile. La concentrazione di precipitazioni intense nel periodo in cui è ancora presente la neve porterà sempre più a quello che chiamiamo 'scioglimento nivale improvviso'. Il quale può avere effetti ridotti sul bacino del Po, ma disastrosi nei bacini medio-piccoli del centronord”.

La pianura padana ha notoriamente un clima quasi unico nel suo genere: i metri di paragone più simili sono l'area di Tokyo, una porzione di Argentina e una di Stati Uniti, non è così?

“E' vero, in più la Romagna ha un'ulteriore peculiarità: è un golfo che i detriti hanno trasformato in una pianura, e che ora rischia di tornare un golfo per via dell'innalzamento del livello del mare, il quale proseguirà per secoli: anche interrompendo ora le emissioni di gas serra, la quantità di Co2 già emessa avrà effetti per generazioni. Eventi come quello di maggio fanno però parte della storia della Romagna: in passato si studiarono soluzioni di ogni tipo per risolvere i problemi dati dalle piene, pensiamo alla deviazione del Po, del Reno, o alla costruzione del Canale Napoleonico. Quando non si verificano eventi estremi per il tempo di una generazione allora si tende a dimenticare, a rimuovere il rischio. Per questo è importate guardare alle piene con una prospettiva euro-mediterranea”.

Che fare, dunque?

“La soluzione non è mai una sola, consiglio di diffidare delle semplificazioni: dev'essere la scienza a dirci, caso per caso, quale fiume ha bisogno di rimboschimenti sulle sue sponde e quali tratti invece devono poter fluire in alvei sgombri. In futuro le casse d'espansione ci aiuteranno, ma un territorio densamente urbanizzato rimarrà soggetto a rischi. Non dobbiamo pensare di sconfiggere le alluvioni, ma di limitare i loro danni. Tutti devono rendersi conto che avventurarsi nell'acqua alta anche solo 20 centimetri, se questa è in movimento, significa rischiare la vita”.