Castellitto è ’Zorro’: "Un testo sulla dignità"

L’attore chiude la stagione di prosa del Comunale di Carpi con lo spettacolo firmato dalla moglie e incentrato sulla figura di un clochard

Castellitto è ’Zorro’: "Un testo sulla dignità"

Castellitto è ’Zorro’: "Un testo sulla dignità"

di Maria Silvia Cabri

Sarà uno strepitoso Sergio Castellitto a chiudere la stagione di prosa del Teatro Comunale di Carpi, domani alle 21 e domenica alle 16, con ‘Zorro. Un eremita del marciapede’, un testo della moglie, Margaret Mazzantini. Sul palcoscenico il poliedrico attore e regista, darà vita ad uno Zorro lontano dall’ottocentesco eroe mascherato di tanti telefilm e film. Sarà, infatti, un vagabondo italiano contemporaneo che ripercorre la propria storia, e delle scelte che lo hanno portato a vivere in strada, riflettendo così sul significato della vita. Com’è nata la scelta di riproporre questo spettacolo?

"Lo avevo già portato in scena oltre vent’anni fa. Margaret, mia moglie, aveva scritto questo copione su mia richiesta, quando dopo tanto cinema, avevo voglia di tornare a teatro. Ed è stato un successo di pubblico. Durante la pandemia, quando tutti eravamo costretti ad un ‘ricovero forzato’, rimettendo a poste alcune parte, l’ho ritrovato e rileggendolo ho scoperto come fosse ancora estremamente attuale. La pandemia ci ha posto davanti il tema e la paura di perdere le certezze e le consapevolezze. Di qui la decisione di riproporre lo spettacolo e, ammetto, riscontrare la grande soddisfazione del pubblico, è davvero una grande gioia".

Chi è il suo Zorro?

"Un clochard, un vagabondo, che un tempo era un uomo come tutti noi, viveva la sia normalità, aveva amici, poi per varie vicende ha perso tutto e vive per strada. Un uomo ai margini della società che ripercorre la s storia della sua vita e riflette sulle scelte che lo hanno portato a vivere per strada e sul significato stesso di vita, capace di vedere la realtà osservandolo da un osservatorio speciale, la strada appunto, la vita delle persone ‘normali’, i ‘Cosmonauti’ e di restituire attraverso una sorta di ‘filosofare’ allegro e indefesso il ‘sale della vita’, la complessità e l’imprevedibilità dell’esistenza". C’è disperazione nello sguardo di quest’uomo?

"Disperazione sì, ma non solo, anche allegria clownesca, ed immaginazione È il ritratto di un uomo ‘laterale’ che però non rinuncia a rendere centrale la sua vita, che conserva la sua dignità". Un altro tema affrontato è quello del tempo, correlato all’ozio…

"L’ozio è una delle possibilità dell’immaginazione. Abbiamo la frenesia di riempire il tempo, abbiamo perso completamente quello che i romani insegnavano, cioè oziare, che apparentemente è una cosa deplorevole. Ma, se non ci fosse stato l’ozio creativo, i gradi filosofi non avrebbero consegnato alla storia pensieri profondi. Passiamo tutti i minuti impegnati a fare tante cose, ma è possibile anche fantasticare e produrre pensieri immaginifici".

Tra teatro e cinema, spesso porta in scena i testi di sua moglie: com’è interpretare un personaggio scritto da Margaret?

"Ormai ci sono abituato (ride, ndr). Quando lavoro come regista, mi ispiro ai suoi libri, alle sue sceneggiature, è naturale, sono ‘dipendente’ dalla sua scrittura, che è visiva, piena di contenuti, odore immaginifica. A fronte dei suoi testi, il regista facilmente trova le parole più adatte per essere poi trasformate in immagine".

È vero che sua moglie ha iniziato a scrivere su un taccuino che le ha regalato lei?

"Sì, a Parigi, era un quaderno con sopra il ritratto di Indiana Jones. Ha iniziato così, Margaret è un’esploratrice della vita".