
L'ingresso del Policlinico
Modena, 19 febbraio 2016 - Il comportamento della dottoressa in servizio al Policlinico, che non ricoverò la gravida, quantomeno per un monitoraggio continuo delle condizioni materno fetali, è stato imprudente. A maggior ragione non può essere condivisa la decisione delle dottoresse dell’ambulatorio che, con gravidanza alla 36 settimana, decisero di rinviare a casa la gestante, consigliando soltanto alcuni controlli, quando invece era assolutamente obbligatorio un ricovero per l’induzione del parto.
E’ quanto emergerebbe dalla consulenza tecnica disposta dal giudice, in sede civile e depositata nei giorni scorsi, in merito alla morte di un bimbo a pochi giorni dalla data prevista per la sua nascita. Dopo il caso della piccola deceduta in circostanze mirteriose lo scorso nove febbraio al Policlinico, poco dopo essere venuta alla luce e, ancor prima quello del bimbo nato morto a dicembre, pare che i periti, nel caso risalente a luglio 2010 e dai ‘contorni’ simili, abbiano ravvisato responsabilità nei confronti delle dottoresse citate a giudizio. Spetterà ora al giudice stabilire se, effettivamente, il comportamento dei medici finiti a processo abbia portato alla morte del feto. Il legale della coppia di modenesi, ancora oggi sotto choc per l’accaduto, l’avvocato Domenico Beraldi ha chiesto un risarcimento pari ad un milione e duecento mila euro.
Nonostante, ovviamente, nessuna cifra potrà mai restituire ai genitori, lei 43 anni, lui 49, quel secondogenito che tanto avevano desiderato. Quello che avrebbe dovuto essere un lieto evento era previsto per il 17 agosto 2010 ma la donna, nel 2006, aveva avuto una precedente gravidanza terminata con un taglio cesareo per presentazione podalica e ritardo di crescita intrauterino. Essendo anche il secondo bambino in posizione podalica e soffrendo la donna di pressione alta, una dottoressa bolognese, a seguito di una visita il 6 luglio dello stesso anno, aveva disposto l’immediato ricovero della 40enne e l’induzione del parto alla 34esima settimana, proprio per i rischi legati alla pressione alta. La modenese, giunta al Policlinico con tali prescrizioni, è stata però inviata a Carpi per effettuare un’ecografia.
Il 21 luglio, tornata al nosocomio di via del Pozzo e visitata, nonostante le pregresse patologie nella prima gravidanza e la pressione molto alta, la modenese è stata nuovamente mandata a casa con la prescrizione di una terapia attraverso il farmaco Trandate. La data prevista per la visita sucessiva sarebbe stata il 29 luglio ma la donna, non avvertendo muovere il bimbo a poche ore dall’assunzione del farmaco, il 23 luglio, colpita anche da malore, si è nuovamente presentata in reparto. Poco dopo la tragedia, con l’avvenuta morte del feto, diagnosticato dai sanitari e, nella notte, l’induzione del parto.
Dalle considerazioni medico legali si evincerebbe dunque come l’induzione del parto non costituisse certo un pericolo per la vitalità del neonato. La decisione di fare proseguire la gravidanza significava solo esporre il feto ai rischi del ritardato accrescimento, in termini di morbilità e mortalità, senza averne clinicamente alcun vantaggio. Ne consegue che il 6 luglio il ricovero della signora fosse altamente opportuno. La prosecuzione della gravidanza in quelle condizioni di grave patologia accertata, esponeva il feto ai pericoli di una insufficienza placentare ingravescente. Il consulente tecnico evidenzierebbe, quindi, come la mancata induzione del parto abbia provocato la morte del feto e come la nascita avrebbe dovuto essere programmata già il sei luglio. Il risarcimento richiesto dal legale riguarda la morte del piccolo, ma anche il danno biologico cagionato ai genitori e ai nonni.