
Federica Di Napoli, responsabile del comparto sociosanitario dell’FP Cgil
Modena, 31 luglio 2025 – Le scuole sono chiuse ormai da più di un mese, ma chi lavora lo fa anche d’estate, escludendo le due, a volte tre settimane canoniche di ferie. E i bambini chi li tiene? Chi può si arrangia con i nonni, per gli altri c’è l’opzione del centro estivo. In genere costano cari e ad agosto molti chiudono. Ma al momento per le famiglie sono l’unica alternativa. E se da un lato il filo conduttore del mondo frammentato dei centri estivi riguarda l’aumento dei prezzi a carico degli utenti e la necessità di contenerli attraverso contributi regionali, agevolazioni comunali e misure messe in campo dalle stesse strutture, un altro nodo critico riguarda la situazione degli educatori coinvolti che, come spiega Federica Di Napoli (foto in basso), responsabile del comparto sociosanitario dell’FP Cgil di Modena e Provincia, non consente ai lavoratori una stabilità economica e un adeguato riconoscimento sociale.
Lavoro nei centri estivi a Modena. Ci può fornire qualche dato? "La risposta pubblica è quasi interamente affidata alla cooperazione sociale, che svolge un ruolo centrale nell’organizzazione e nella gestione dei servizi educativi e ricreativi. Tuttavia, si tratta di un mondo talmente instabile, frammentato e variabile che non abbiamo dati certi sulla forza lavoro impiegata. In alcuni casi, non si può nemmeno parlare di lavoro qualificato: mancano contratti regolari e spesso si ricorre a volontari o collaborazioni occasionali, che esulano dalle tutele sindacali che possiamo garantire ai lavoratori delle cooperative sociali o del privato sociale. Venendo al nostro comparto, stimiamo circa mille lavoratrici – uso il femminile perché si tratta prevalentemente di donne – impegnate tra Modena e provincia, ma vista l’assenza di rilevazioni omogenee tra i Comuni, il dato resta approssimativo".
Ci può descrivere la situazione contrattuale di queste lavoratrici? "Si tratta per lo più di part-time involontari: il full-time, nel periodo estivo, è pressoché inesistente. Il lavoro è instabile: nella maggior parte dei casi, il contratto non coincide con quello ‘base’, ma viene proposta una variazione che comporta cambi significativi nell’orario e nell’organizzazione. È un’occupazione che raramente supera i mille euro netti al mese e mette in seria difficoltà le lavoratrici, rendendo complessa la conciliazione tra la professione, la vita privata e le esigenze familiari. Alcune sono costrette a scegliere se lavorare, destinando gran parte dello stipendio ai servizi per i figli, oppure restare a casa. Questa è soltanto una parte di una serie di problemi che il sistema dovrebbe finalmente assumersi".
Ci sono altre situazioni particolarmente critiche? "Sì, in particolare nei casi in cui i centri estivi prendono in carico bambini e ragazzi con disabilità. In tali situazioni si può mantenere la continuità con l’educatore che li ha seguiti durante l’anno scolastico: a Modena si tratta del Pea, ovvero il personale educativo-assistenziale. Anche qui, però, le criticità non mancano perché la continuità educativa dipende dalla richiesta dei genitori: se non viene formalizzata, l’educatore resta senza incarico a partire da giugno".
Quali proposte state avanzando? "Stiamo cercando in tutti i modi di promuovere la costruzione di un modello integrato, perché la maggior parte dei servizi – sia durante l’anno scolastico che nei mesi estivi – è esternalizzata dagli enti pubblici; se non vogliamo che il costo di tale esternalizzazione ricada solo sui lavoratori, serve ripensare il sistema in modo organico, tenendo insieme tutti i cicli educativi, senza separare scuola e centro estivo, in modo da impiegare lavoratori e lavoratrici su 12 mensilità e assicurare maggiore stabilità contrattuale. Oggi, la situazione è paradossale: se da un lato la richiesta di educatori è in aumento, dall’altro, ci troviamo di fronte a un evidente problema salariale e occupazionale, e contemporaneamente, a una crescente disaffezione verso questa professione".