"Idrologia sottovalutata. Vanno studiate le piene. Non è solo colpa del clima"

Le piogge abbondanti causano paura e danni, ma il prof. Orlandini sottolinea la mancanza di attenzione all'idrologia come causa principale. È necessario un approccio scientifico per affrontare il rischio idrogeologico.

Piove ed è subito ‘allarme’: negli ultimi tempi, alle prime avvisaglie di precipitazioni un po’ più abbondanti del normale, scatta immediatamente nei cittadini e non solo la paura delle conseguenze, l’incognita della chiusura dei fiumi, la predisposizione delle misure di sicurezza e del personale per presidiare. Le tragiche recenti alluvioni hanno segnato anche chi le ha vissute di riflesso: certe immagini non si dimenticano. Il professor Stefano Orlandini, docente di Ingegneria Civile e Ambientale presso il Dipartimento di Ingegneria Enzo Ferrari di Unimore, è uno dei massimi esperti per quanto riguarda il rischio idrogeologico nel territorio di Modena e Reggio Emilia, sempre più esposto gli eventi alluvionali e franosi, come testimoniano anche gli ultimi eventi di cronaca.

Professor Orlandini, le piogge abbondanti causano danni e subito spaventano. Come interpreta questo fenomeno?

"Come spiegherò nelle ‘Lezioni dalle recenti alluvioni in Romagna’, durante il convegno del 22 marzo promosso dall’Accademia Nazionale dei Lincei di Roma, in occasione della XXIII edizione della Giornata dell’Acqua, il problema nasce dalla scarsa attenzione non tanto ai fenomeni meteorologici, bensì idrologici. Manca oggi la giusta considerazione in merito al motivo e al modo in cui si formano le piene e come queste interagiscono con il nostro territorio. Problemi che si riflettono sia sulla parte montana (con erosioni e frane) che in quella valliva (con conseguente fatica degli argini a contenere e smaltire la piena e alluvione quando l’acqua fuoriesce dall’alveo. A questi si aggiungono altri problemi evidenziati già da almeno un decennio".

A quali problemi ulteriori fa riferimento?

"Ad esempio, a quello degli animali fossori, come l’istrice e il tasso, che hanno l’abitudine di scavare il terreno, contribuendo al collasso degli argini".

Assistiamo a eventi estremi, dalle piogge torrenziali alla siccità: c’è una correlazione?

"Sono fenomeni che riguardano tutto il territorio nazionale e la cui gestione è problematica: alluvioni da un lato, e dall’alto lato, quale altra faccia della medaglia, la siccità, di cui si tornerà a parlare con preoccupazione tra poco. Sono fenomeni collegati e questo deve spingerci a studiare o tornare a studiare i problemi di interazione dei flussi idrici col nostro sistema terra".

Il clima sta cambiando…

"Certo, con il riscaldamento globale che riguarda soprattutto l’arco alpino con i ghiacciai che si ritirano. Però attenzione: ricondurre la causa di tutto, alluvioni, siccità, al cambiamento climatico è eccessivo e soprattutto distoglie l’attenzione dal vero problema, attualmente posto in secondo piano, ossia l’idrologia e le costruzioni idrauliche. I dieci milioni di danni in Romagna e soprattutto le vite che sono andate perse, dovrebbero insegnarci qualcosa".

Cosa si può fare al riguardo?

"La questione è complessa e non esiste una soluzione magica per tutto. Quello che occorre fare a fronte di questi fenomeni lo insegniamo ai nostri universitari in tre specifici corsi di studio che sono l’ingegneria idraulica, l’idrologia e le costruzioni idrauliche (tutti rientranti nell’Ingegneria Civile e Ambientale). Reputo che per arginare certi problemi sia urgente ridare, ma veramente, fiducia alla nostra ingegneria idraulica, che deve essere ascoltata, libera di esprimersi in modo indipendente. Occorre seguire gli insegnamenti di queste materie, senza l’interferenza di correnti di pensiero ideologiche".

‘Bombe d’acqua’ è un termine sempre più spesso usato...

"Erroneamente! Parlare di ‘bombe d’acqua’ (termine che esiste solo in Italia) è ridicolizzare la scienza. Tre sono i fattori che si devono tenere presenti per qualificare un evento: la durata della precipitazione, l’altezza e la probabilità di accadimento. Occorre colmare il vuoto dato dalla mancanza di una cultura basata sull’evidenza scientifica".

Maria Silvia Cabri