
Il concerto perduto Sollima riscopre Vivaldi
Venezia magica, Venezia crocevia di popoli, Venezia ammantata di fascino e di mistero. Proprio a Venezia, anzi ’Al Bunduqiyya’, l’antico nome della città in arabo (è l’unica città in Europa ad averne uno), ci accompagnerà il violoncellista Giovanni Sollima nel nuovo appuntamento della stagione concertistica del teatro Comunale Pavarotti Freni. Insieme al violinista Federico Guglielmo e all’orchestra Il Pomo d’Oro, specialista nella prassi esecutiva storica, stasera alle 20.30 il maestro Sollima presenterà ’Il concerto perduto’, un tributo alla città dai mille volti e dalle mille culture. Brani di Antonio Vivaldi e di Giuseppe Tartini si intrecceranno a rielaborazioni di musiche tradizionali albanesi e cipriote e a brani originali, in un abbraccio di contaminazioni virtuose. Eclettico e instancabile esploratore della musica, viaggiatore nei suoni, Sollima è violoncellista di fama internazionale e il compositore italiano vivente più eseguito al mondo: negli anni ha ideato progetti straordinari come i 100 Cellos e la prossima estate al Ravenna Festival, con l’Orchestra Cherubini diretta da Riccardo Muti, suonerà strumenti realizzati con il legno dei barconi dei migranti approdati in Italia.
Maestro Sollima, come è nato il progetto ’Al Bunduqiyya’? "Erano anni che pensavo a tutto ciò che ha rappresentato la lunga (e anche controversa) storia della Repubblica di Venezia. In termini musicali, nei secoli il mare Adriatico ha ‘trasportato’ una serie di informazioni sonore notevoli e anche strabilianti alle quali non erano insensibili anche gli stessi Vivaldi o Tartini, come si coglie in certi loro componimenti, in talune fioriture e ornamentazioni".
Perché questo titolo, ‘Il concerto perduto’?
"Vivaldi scrisse diversi concerti per violoncello (sono 28 secondo il catalogo), ma due risultano smarriti nella loro integrità. In particolare ho lavorato su uno dei due, di cui resta soltanto la parte per viola, uno strumento che talora rimane un po’ in sordina ma a cui Vivaldi dedica molta attenzione: nel manoscritto che ho potuto studiare, la parte per viola è scritta con precisione maniacale ed è completa di tutto, incluse le battute di pausa numerate, tuttavia manca tutto il resto. Da quello spunto tematico, rispettandone l’architettura, ho pensato allora di ricostruire le restanti parti del concerto. Non si tratta di un falso storico: semplicemente dalla parte superstite del concerto mi sono divertito a ‘respirare’ tutto ciò che potesse diventare materiale da sviluppare".
Ne è ‘fiorito’ un nuovo Vivaldi?
"Diciamo un Vivaldi sollimizzato, o un Sollima vivaldizzato" (ride).
Il programma della serata viaggerà fra Venezia e il Mediterraneo...
"E incrocerà spesso la musica popolare che, appunto, è del popolo e non ha un autore definito. Alcuni canti vivono in più terre: per esempio ci sono brani albanesi che si ritrovano anche in Sicilia, nelle comunità Arbereshe. E allo stesso modo l’elemento sublime della musica può collegarsi al quotidiano, come nel canto di gondoliere che Tartini aveva ‘tradotto’ per il violino. Sono andato a cercare brani che avessero avuto un’esistenza diffusa su territori anche apparentemente lontani e distanti, per scoprire che questa distanza davvero non c’è".
Lei è da sempre un appassionato ricercatore e sperimentatore. La musica riserva sempre sorprese?
"Certo, e noi non dobbiamo chiuderla in ristretti ambiti accademici. La musica si muove, la musica entra nella vita di tutti. Basti pensare a quanto faceva Haydn che, viaggiando, annotava brani di canti popolari che si affacciavano poi nelle sue sinfonie. Vivaldi scriveva ogni giorno e per lui la musica era una pratica quotidiana: questa concezione della musica ti connette con l’esistenza, con la gente. Con la vita".