Il duce delinquente Un ritratto a due voci

Martedì sera Aldo Cazzullo e Moni Ovadia saliranno sul palco del Michelangelo. "Uno spettacolo che sfaterà miti e convinzioni"

Il duce delinquente Un ritratto a due voci

Il duce delinquente Un ritratto a due voci

‘Il duce delinquente’, che andrà in scena martedì alle 21 al Teatro Michelangelo di Modena, è un’incredibile storia a due voci: il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo e l’uomo di teatro Moni Ovadia portano in scena i crimini e i tradimenti che Benito Mussolini riuscì a ordire nella vita professionale e privata. Cazzullo racconta, Ovadia legge, con un registro canoro potente e imponente, i discorsi, gli ordini, i telegrammi e i dispacci di Mussolini e i testi delle sue vittime, con musiche e canzoni dell’epoca eseguite e interpretate dal vivo da Giovanna Famulari al pianoforte e violoncello (a tratti suona anche l’armonica). Tramite la rievocazione di fatti di cronaca e documenti, si ricompone il ritratto di un Duce che scardina quella diffusa convinzione italiana di ‘abile statista’ che, ‘fino all’errore dell’alleanza con Hitler’, delle leggi razziali, della guerra, le ha azzeccate quasi tutte. Lo spettacolo è tratto dal libro di Cazzullo ‘Mussolini il capobanda’ (Mondadori, 2022) e "si pone come una sorta di seguito a ‘Le guerre dei nostri nonni’ – afferma il giornalista –. Dopo la prima Guerra mondiale, ora analizzo il periodo che va dal 1929 al 1945. Inoltre – prosegue – come avevo già affermato nel libro, demolisco un altro luogo comune: non è vero che tutti gli italiani sono stati fascisti. L’Italia non era tutta fascista, né poteva dirsi antifascista senza rischiare la pelle come dimostrò Antonio Gramsci con i suoi 11 anni di carcere. I poeti scelsero i loro silenzi in versi, da Eugenio Montale a Umberto Saba". "La maggioranza degli italiani pensa che Mussolini fino al 1938 le abbia azzeccate quasi tutte – aggiunge Cazzullo –. Dimostreremo che non è così. Prima del 1938, Mussolini aveva provocato la morte di Gobetti, Gramsci, Matteotti, Amendola, dei fratelli Rosselli e di don Minzoni.

Aveva fatto morire in manicomio la donna che aveva amato, Ida Irene Dalser, e il proprio figlio Benitino (Benito Albino), perseguitato oppositori e omosessuali, imponendo un clima plumbeo e conformista. Aveva chiuso i libici in campo di concentramento, gasato gli abissini, bombardato gli spagnoli. Si era dimostrato uomo narcisista e cattivo. La guerra non è un impazzimento; è lo sbocco naturale del fascismo. E aver mandato i soldati italiani a morire senza equipaggiamento in Russia, nel deserto, in Albania è stato un altro crimine, contro il suo stesso popolo. E ancora devono arrivare gli orrori della guerra civile. E del neofascismo delle bombe sui treni, nelle banche, in piazza, da Piazza Fontana alla strage di Bologna".

Maria Silvia Cabri