REDAZIONE MODENA

"Inventai gli abusi, fui spinto a fare accuse"

Caso pedofili, il bambino ’zero’ Davide Galliera: "Famiglia povera ma mi voleva bene, ho ceduto alle pressioni degli assistenti sociali"

"Dalla morte alla vita, con l’aiuto di persone che mi hanno sempre voluto bene".

Davide Galliera, 31 anni, il bambino ‘zero’ della vicenda pedofili della Bassa modenese, ‘Dario’ nel podcast Veleno di Pablo Trincia, precisa che "la sua morte, dopo una vita vissuta cercando di ricomporre i pezzi mancanti della sua storia, sarebbe stata rimanere nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Reggio Emilia, pieno di psicofarmaci".

Davide Galliera, partiamo da ‘zero’. A ‘Veleno’ hai dichiarato di avere la certezza di esserti quasi inventato tutto sugli abusi subiti nell’infanzia (da lì partì l’inchiesta e 16 bambini furono tolti ai genitori, lui fu affidato a un’altra famiglia nel Reggiano). Ora, dopo quasi 25 anni, dici di essere certo che nulla è mai accaduto. E’ così?

"All’epoca dei fatti avevo appena 7 anni, ero terzogenito di genitori poveri. Spronato dall’assistente sociale dell’Ausl a parlare, dietro ricompensa di una vacanza al mare, ritengo di aver ceduto. Sinceramente non ho ricordi negativi dell’epoca, se non restrizioni e povertà. Eravamo una famiglia disagiata (di Massa Finalese), questo è certo. Ma non ho mai subito violenze (finirino invece in carcere i genitori e il fratello maggiore, poi tanti altri, ndr). Mamma e papà ci volevano bene".

Quale idea ti sei fatto della vicenda pedofili?

"Che noi bimbi, sollecitati a parlare, abbiamo fantasticato, troppo e male, e che le assistenti sociali al fine forse di tutelarmi abbiano preso lucciole per lanterne creando il caso ‘pedofili’".

Ancora oggi, però, alcuni ‘bambini’ di allora confermano di aver partecipato ai riti satanici al cimitero di Massa con don Govoni. La dottoressa Valeria Donati (nella nota riportata sotto, ndr) dichiara che 11 bambini subirono abusi e che i familiari vennero condannati.

"Povero don Giorgio, cercò di aiutare tutti e alla fine morì di dolore, come i miei genitori, come tanti caduti in quella drammatica vicenda, senza capo né coda. A quei ‘bambini’ di Massa Finalese, Finale, Mirandola vorrei lanciare un appello".

Quale?

"Non abbiate paura, oggi non siamo più soli, i tempi sono cambiati. Finora, quattro di noi hanno stretto di nuovo i legami familiari, chi con i genitori, chi, come me, con i fratelli. Sarebbe bello che tutti lo facessero. Molti di noi hanno raccontato cose mostruose, ma eravamo bambini, sollecitati forse a dismisura".

E’ vero che dopo Veleno, stai ricevendo attestazioni di affetto e solidarietà da tutta Italia?

"Sì, è così, già dopo Veleno hanno iniziato a scrivermi ragazzi che, come me, hanno vissuto infanzie tragiche, sconvolte da ‘ferite’, da fatti non sempre veri. Chi ha veramente subito abusi nell’ambito familiare è giusto che venga allontanato dalle famiglie naturali, ma nella vicenda pedofili tanti genitori si sono

visti privare dei figli da innocenti e, a distanza di anni, sono stati dichiarati tali dalla giustizia. Nessun altro bambino deve soffrire come me".

Torniamo ai giorni nostri. Mesi fa sei stato ricoverato, per tua scelta, nel reparto psichiatrico di Reggio Emilia per alcuni giorni, poi però, tuo malgrado, la degenza si sarebbe prolungata e hai chiesto aiuto ad alcuni amici di Massa Finalese e a un legale, hai firmato e sei uscito. Cosa ti era accaduto?

"Stavo subendo troppe pressioni da parte dei miei genitori adottivi. Dopo ‘Veleno’, mi dicevano che non dovevo riscrivere la mia storia, che era quella stabilita dalla giustizia. Io invece non la pensavo così. Avevo bisogno di cure, ma solo per alcuni giorni per aver accumulato troppo stress, poi però la breve degenza si stava prolungamento: il programma stabiliva una quarantina di giorni e con troppi psicofarmaci. A quel punto mi sentivo in gabbia, sono uscito di mia volontà e da lì si sono rotti i

rapporti con i genitori adottivi".

Sei dispiaciuto?

"Certo. Loro si sono arrabbiati con me, perché ho deciso di uscire dall’ospedale e di far perdere per un po’ le mie tracce. So che mi vogliono bene, e io pure. Sono bravi genitori, sarò loro sempre grato, ma voglio riprendermi la vita in mano".

Viviana Bruschi