
Aula di tribunale
Modena, 22 dicembre 2018 - Ventisei anni di consulenze tecniche, cambi di giudice, nomine di periti, acquisizioni di prove e tanta, tantissima, attesa. È una Dynasty giudiziaria con numeri quasi inverosimili, quella che giovedì, di fronte alla prima sezione civile, si è conclusa con un accordo tra le parti, sancito dalla firma del giudice Manuela Cortelloni, a chiusura di una vicenda cominciata nel lontano 1992, come il numero di registro testimonia. Non una sentenza nel merito, dunque, quanto una trattativa andata a buon fine tra le parti in causa, ovvero componenti di una famiglia di Soliera contrapposte per quasi tre decenni nella suddivisione di beni (case, terreni e fabbricati) il cui valore si aggira attorno al milione di euro.
Bisogna tornare, incredibile ma vero, ai tempi del breve primo governo Amato, del Foggia di Zeman, o a Bill Clinton, per intenderci, se si vuole trovare l’inizio di un procedimento civile dove il termine ‘lungaggine’ alla fine diventa un eufemismo. È infatti all’epoca, quando gli atti restavano solo sulla carta, non venendo nemmeno digitalizzati, che una componente della famiglia in questione, peraltro oggi non più in vita, cita in giudizio un parente, contestando che nell’atto di vendita di un immobile non sia stata presa in considerazione la sua quota di proprietà.
A quel punto il primo giudice dispone una integrazione del contraddittorio, ovvero interpella altri parenti, nel tentativo di stabilire le esatte quote spettanti per ognuno. Ben presto ad entrare in causa sono più beni e una decina di persone in tutto, accomunate dallo stesso cognome. Se la ‘litigiosità’ fa il suo, rendendo il caso oltremodo complesso, un contributo fondamentale, e non certo in senso positivo, arriva anche dagli ingranaggi della giustizia: il procedimento in questione vede la nomina di più giudici (almeno cinque quelli che spuntano consultando gli spessi faldoni, ma probabilmente sono di più) che si susseguono, comportando ogni volta nuove consulenze tecniche, perché un bene materiale nel tempo si deteriora o subisce modifiche tali da rendere necessari nuovi accertamenti per ristabilirne il valore.
Non solo, si assiste anche ad attese durate anni per l’acquisizione di prove utili ai fini della soluzione della controversia. Dinamiche che si raccontano spesso in ambito civile e penale, sia chiaro, ma che nel caso in questione raggiungono livelli temporali davvero inusuali, come se il fascicolo nel tempo fosse diventato una ‘patata bollente’ tanto era intricato e dilatato negli anni. Soltanto giovedì scorso i contendenti hanno deciso di ufficializzare la spartizione stabilita dalla più recente consulenza tecnica, attraverso un atto pubblico di transazione.
C’è chi ha ottenuto la liquidazione in denaro della propria quota stabilita, chi ha visto confermata la proprietà dell’immobile all’interno del quale abita da tempo. Dunque è stata dichiarata l’avvenuta estinzione del giudizio, finalmente. Ma la questione non è chiusa. Se si considerano infatti i ventisei anni trascorsi, e le connesse spese affrontate per avvocati (tre solo quelli comparsi davanti al giudice giovedì) e consulenti, non ci vuole un fine giurista a stabilire che qualcosa non torna. L’avvocato modenese Agostino Ascari, che ha seguito una delle parti in causa, annuncia infatti che si appellerà alla legge Pinto, quella che disciplina il diritto di richiedere un’equa riparazione per il danno, patrimoniale e non, subito a causa dell’irragionevole durata di un processo. La speranza è che, almeno in parte, un po’ di soldi tornino nelle tasche del suo cliente.